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Seconda “tranche” di date italiane in co-headlining dell’accoppiata Dead Daisies + The Answer che lo scorso autunno ha battuto a tappeto la cara vecchia Europa. La all star band nata in Australia ma di fatto divenuta con il tempo più americana dei McDonald insieme al gruppo nord-irlandese che ad inizio millennio aveva riportato l’hard rock dei Zeppelin nelle classifiche di mezzo mondo …non male, no? …un menù allettante, soprattutto per le differenze sostanziali della proposta, alla luce anche della recente svolta musicale intrapresa dai The Answer.

Proprio questi ultimi salgono on stage per primi mentre lo storico New Age si sta riempiendo velocemente di un ottimo numero di fans…sullo sfondo nero risalta il nuovo logo della band in grossi caratteri dorati. Se su disco ogni tanto si sono persi nei meandri della routine, dal vivo la band di Cormac Neeson è un motore oliato e rombante che gira a mille, emanando energia e fascino da tutti i pori.

C’è curiosità nell’aria vista la svolta stilista con l’ultimo album appena uscito “Solas” dove finalmente la band di Downpatrick ha aperto a diverse commistioni il proprio hard rock classico… Cormac Neeson sprizza carisma e simpatia fino alle ultime file incitando il pubblico, saltando ma soprattutto facendo vibrare le sue meravigliose corde vocali come solo lui sa fare.

L’inizio è da brividi con la doppietta formata da l’atmosfera celtica di “Solas” e la mistica profondità di “Beautiful World”. La scaletta abbonda di brani dell’ultimo disco quasi a dimostrare il nuovo inizio, ma i The Answer non si dimenticano nemmeno dei loro “classici” come “New Horizon” e “Under the Sky”. Nonostante ciò, i brani nuovi fanno la parte del leone con i brividi acustici di “Tunnel”, le aperture melodiche di “Untrue Colour”, la tradizione folk irlandese in “In This Land” e “Thief of Light”.

Paul Mahon guida in modo sicuro la band con la sua chitarra e – complice una sezione ritmica precisa – da spazio al singer di folleggiare come meglio crede… “Demon Eyes”, la ritmica “Being Begotten” ed il vecchio singolo “Spectacular” che esplode in tutta la sua energia positiva e solare… il gran finale è lasciato alla rombante giga irlandese di “Battle Cry“ che con i suoi ritmi contagiosi fa saltare e danzare l’intera audience.

La magia che la band riesce a creare stupisce e scalda il cuore trasformando un club della campagna veneta in un fumoso pub di Belfast…

Cormac ringrazia il pubblico e augura Buon Natale a tutti quanti…le luci in sala si accendono e c’è il tempo di bere al bar una birra per recuperare i liquidi persi… i roadies intanto innalzano il telone con l’ormai famoso teschio dei Dead Deasies.

Sembrano passati secoli dal debutto delle “margherite morte” nel 2012, grazie a David Lowy, ricchissimo imprenditore australiano e chitarrista a tempo perso che in pochi anni è riuscito a costruire intorno al nome della sua band una formazione di prim’ordine di vecchie glorie. Ma qua non centrano i soldi! Con il tempo la band si è amalgamata e con l’arrivo in squadra di John Corabi ha fatto il salto di qualità, pubblicando due album di qualità a distanza ravvicinata… anche stasera la prima cosa che balza all’occhio è il relax ed il divertimento che la band irradia dal palco.

L’intro mashup intitolato Whole Lotta Sabbath (che mescola “Whole Lotta Love” e “War Pigs”…) fa esplodere il pubblico in un boato mentre i musicisti salgono sorridenti sul palco. Con loro non ci sono brani d’atmosfera e divagazioni celtiche… i Dead Daisies sono classic hard rock al 100% …diretti come un pugno in faccia!

Il primo singolo del nuovo album “Long Way to Go” e la popolarissima “Mexico” fanno scaldare in modo istantaneo l’abbondante pubblico presente.

Persi gli ex gunners tornati all’ovile Richard Fortus e Dizzy Reed, la band propone il nuovo arrivato Doug Aldrich con la sua tonante Gibson insieme alla sezione ritmica formata da Brian Tichy e Marco Mendoza. A lato palco, quasi intimorito da cotanto pedigree c’è il fondatore David Lowy che risulterà essere il vaso di coccio tra anfore di metallo pesante. Menzione particolare invece per John Corabi e la sua calda e sensuale voce, il suo carisma, il suo look, la sua simpatia…un leader assoluto che tiene il palco da solo con una semplicità disarmante.

“Make Some Noise”, “Song And A Prayer” sono al preludio della bella cover dei Creedence Clearwater Revival “Fortunate Son” …la band suona che è un piacere dando al pubblico proprio quello che vuole: partecipazione …ed i Dead Deasies non si fanno pregare dandosi letteralmente in pasto al pubblico (…o dando perfino il proprio basso da far girare – di mano in mano – mentre Marco Mendoza osserva divertito la scena…).

C’è tutto il “Bignami” dell’hard rock con i Dead Daisies “We All Fall Down” anticipa l’assolo di Doug Aldrich come “The Last Time I Saw the Sun” lo fa con quello spettacolare del “polipo” Brian Tichy, una vera e propria fontana sputa bacchette!!!

La cover degli Who “Join Together” fa da anticamera alle ultime canzoni targate Dead Daisies ovvero “With You and I” e “Mainline” …”Crab” canta e si diverte a rintuzzare il pubblico per tenerlo sempre sulle spine.

Il finale dello show è tutto dedicato alle cover (…alcuni si lamentano del loro numero esagerato…)… “Helter Skelter”, “We’re an American Band” dei Grand Funk Railroad ed il gran finale con “Midnight Moses” della Sensational Alex Harvey Band. Che dire? Pubblico conquistato con tutti i trucchetti del vecchio rock’n roll da circo ma anche da una grande band d’esperienza che sa ancora scrivere canzoni ma soprattutto suonarle come dio comanda.

Per finire torniamo a poche righe fa…alla parola partecipazione: le “margherite morte” la conoscono bene e sanno cosa vogliono i fans ed ecco quindi un meet & Greet organizzato in pochi minuti e per tutti c’è un autografo, una locandina del tour in omaggio, un selfie o una semplice stretta di mano con tutta la band al gran completo che sta pazientemente al gioco.

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