Beppe Riva
AerosmtihBeppe Riva, Lee Dorrian & Paul ChainTommi Iommi & Beppe Riva

 


Federico Martinelli

Ho conosciuto Beppe Riva ormai più di dieci anni fa, a farci incontrare su un pullman direzione S. Siro il nostro amore comune per la gloriosa squadra di Milano a strisce nero-azzurre…
Essendo un suo lettore fedelissimo, ricordo ancora il mio timido approccio con un apprezzamento (sincero) riguardo una sua recensione che mi fece scoprire un’altra grande band... e la sua risposta cordiale e per nulla scocciata…

Da allora la nostra amicizia ci ha portato a dividere gioie (poche) e dolori (tanti) di stampo calcistico e belle serate tra amici a parlare di Musica... si proprio con la M maiuscola.
Col lui ho realizzato questa chiacchierata per raccontare la storia di un tipo di giornalismo, quello musicale dedicato al Rock, che molte volte viene bistrattato ma che grazie a personaggi come lui avrà sempre un’importanza notevole per tutti gli appassionati.

Quando hai cominciato la tua carriera di giornalista musicale? Puoi brevemente ricordarci le tappe della tuo percorso fino ad oggi?
Alla fine del 1978 iniziai a scrivere su Rockerilla, che a quell’epoca usciva in un formato simile ai grandi settimanali inglesi come Sounds e Melody Maker, e cercava nuovi collaboratori ricercandoli fra i vincitori di un “concorso dei lettori” istituito anni prima da Ciao 2001, la più diffusa rivista musicale italiana degli anni ’70. Il “premio” consisteva nella pubblicazione di una recensione, con nome e indirizzo dell’autore, ed io fui fra i prescelti, commentando un album dei Blue Oyster Cult. Negli anni ‘80, Rockerilla divenne un punto di riferimento per la cultura rock alternativa in Italia; occupandomi dell’emergente fenomeno heavy metal, varai una rubrica “Hard & Heavy”, che fu la prima in Italia nel suo genere ed ottenne un notevole successo.

Infatti, senza alcuna raccomandazione, fui invitato a svolgere il ruolo dell’”avvocato difensore” in un processo all’Heavy Metal realizzato nel popolare programma musicale di Raiuno, “Mr. Fantasy”. Conseguentemente, feci una serie di trasmissioni sulla radio nazionale; inoltre partecipai ad altri appuntamenti televisivi su Videomusic e su Italia 1; si trattò comunque di apparizioni sporadiche. Nel frattempo, a livello di carta stampata, avevamo realizzato alcuni numeri di Hard & Heavy, divenuta una rivista autonoma rispetto a Rockerilla, e la prima nel nostro paese dedicata esclusivamente al rock duro.

Cessò la pubblicazione quando con lo stesso staff redazionale, trovammo a Roma un editore con maggiori risorse economiche grazie all’amico Giancarlo Trombetti. La nuova testata si chiamava Metal Shock, ed inizialmente rivestivo un ruolo di “redattore esterno”; per qualche tempo le cose andarono assai bene, poi, quando Trombetti si trasferì nella redazione di Videomusic, non ottenendo più le stesse garanzie, lasciai a mia volta la rivista tornando a collaborare con Rockerilla, dove scrivo tuttora.

Se non sbaglio sei stato tra i primi a credere che anche in Italia potesse svilupparsi una scena rock/metal competitiva, ricordiamo per esempio che hai partecipato alla realizzazione del primo 45 giri targato Death SS… Che ricordi hai di quel periodo e quali erano le difficoltà più grosse?
All’inizio degli anni ’80, quando la rubrica “Hard & Heavy” divenne una presenza regolare e molto seguita su Rockerilla, ricevemmo in redazione una sorprendente quantità di demos di formazioni metal italiane, e mi sembrò interessante dedicare uno spazio fisso anche a questo materiale. Quando mi accorsi che si poteva ormai parlare di un vero e proprio scenario metallico a scala nazionale, il passo successivo fu quello di realizzare una compilation dei brani proposti dalle formazioni più interessanti. Grazie ad una piccola etichetta indipendente, Electric Eye, fu pubblicata la prima compilation metal italiana, “Heavy Metal Eruption” (1000 copie di tiratura, esaurite) di cui ero il curatore, con gruppi-pionieri di questa scena: Death SS, Crying Steel, Strana Officina, Steel Crown etc.

Visti i risultati, decidemmo di realizzare anche il primo EP dei Death SS, la formazione che aveva suscitato maggior attenzione. Il gruppo aveva un’identità molto “black magic” (ma distante dagli eccessi attuali del metal estremo) ed il 7 pollici si chiamava “Evil Metal”. Lo produssi insieme all’attuale direttore di Rockerilla, Mario Rivera, ma nonostante il buon livello della registrazione, la stampa presentò dei difetti che ci indussero a non distribuirlo, fomentando anche la fama “maledetta” del gruppo. In seguito il disco circolò lo stesso, ed attualmente è un costoso collector’s item! In generale, ricordo quel periodo come particolarmente emozionante: il pubblico del metal è sempre stato fra i più “caldi” ed entusiasti in assoluto, e nei miei confronti ha spesso manifestato grande gratitudine. A mio avviso, certi progetti spontanei erano più realizzabili vent’anni fa rispetto ad oggi, perché il mercato non era così inflazionato. Certamente il livello di professionalità era nettamente inferiore.

Oggi viviamo nell’era di internet e della globalizzazione ed è molto facile procurarsi notizie della propria band preferita... Puoi raccontarci come erano le cose negli anni della nascita delle riviste di settore qui in Italia?
Per le informazioni si faceva spesso riferimento alle riviste inglesi, che ovviamente sono sempre state all’avanguardia, come Sounds, Kerrang! o Metal Forces. Ma negli anni ’80 i primi meccanismi promozionali si svilupparono rapidamente, e sia dall’Europa che dall’America giungeva alle prime riviste specializzate italiane materiale di gruppi poi destinati alla fama, oppure… a sparire nel nulla. La nascita di etichette dedicate ad un certo genere di musica rendeva questo rapporto ancor più diretto e proficuo. Per certi versi, non era un male che le case discografiche importanti non fossero molto interessate a condizionare la stampa rock, a differenza di quanto succede oggi.

Sei sempre stato definito il miglior giornalista di Rock/Metal che l’Italia abbia avuto... come ti senti ad essere indicato come colui che ha avviato ad un certo genere musicale migliaia di persone?
Ringrazio chi mi considera tanto influente… Quantomeno mi accanisco sui tasti della macchina da scrivere e poi del computer da oltre 25 anni. So di aver “avviato” a questa attività anche qualche affermato giornalista rock, per sua stessa ammissione. Io svolgo un’altra professione, e quindi non posso scrivere di musica a tempo pieno, pertanto posso permettermi di trattare ciò che mi interessa maggiormente, senza esser costretto a parlare di fenomeni commerciali per guadagnare… Siccome sono un fervente appassionato di rock, non posso che sentirmi lusingato da chi ritiene che io abbia scritto cose lusinghiere a riguardo.

Puoi darci un giudizio personale sull’attuale panorama italiano per quanto riguarda le riviste specializzate? Credi che così tanta offerta sia davvero necessaria o si rischia di disperdere le “penne” migliori?
E’ davvero un punto dolente; non credo che esista una rivista italiana ideale di rock, in equilibrio fra tradizione ed innovazione, inoltre l’offerta è oltremodo sproporzionata rispetto al mercato, perché con la crisi in corso, la priorità per i giovani non è certo acquistare numerose riviste musicali. Il problema non è quello di disperdere le cosiddette “penne migliori”, che difficilmente riuscirebbero a convivere nello stesso giornale, quanto il numero crescente di “dilettanti allo sbaraglio”, spesso con scarsa esperienza, ai quali alcuni editori concedono spazio perché costretti a far quadrare i conti, non pagando affatto questi collaboratori. La crisi economica delle nostre riviste rock è generale, ma così facendo non le si rendono certo molto credibili. Ed i lettori, anche i più giovani, si lamentano delle clamorose gaffes commesse da tanti presunti “esperti”. Permettimi però di non emettere giudizi sulle singole riviste, sarebbe poco corretto visto che sono di parte.

Nel 1991 sei stato il curatore dell’edizione italiana dell’enciclopedia del Rock dedicata in modo particolare all’Hard & Heavy. Che ricordi hai di quell’esperienza e pensi che in futuro potrebbe esserci magari un seguito?
Prima del volume H & H, mi ero “allenato” curando interamente lo stesso genere di musica sull’Enciclopedia Rock degli Anni ’80, sempre dell’Arcana Editrice. Ricordo l’Enciclopedia Hard & Heavy come un’esperienza particolarmente stressante; in teoria non doveva essere così, perché il testo-base era già stato steso da un autore olandese; ma la traduzione italiana non era soddisfacente e le discografie spesso lacunose, così l’ho dovuta riscrivere per lunghi tratti, perché sono fin troppo pignolo, anche quando correggo le mie bozze. Ho impiegato più tempo del dovuto, e siccome non potevo trascurare il mio lavoro principale, è stato alquanto faticoso.

Infatti in seguito ho volutamente scritto solo introduzioni critiche di una collana di libri con tutti i testi di Queen, Guns N’Roses, Aerosmith, Bon Jovi. I due volumi sui Queen hanno riscosso un successo di vendite rimarchevole. Nell’ambito “enciclopedico”, altri hanno preso il mio posto nel settore heavy metal, inoltre credo che l’epoca giusta per produrre un libro di quel genere fosse proprio alla fine di un decennio trionfale come furono gli anni ’80. Oggi a mio avviso non avrebbe lo stesso senso. Invece mi è stato recentemente proposto di curare un volume sul mio primo amore musicale (insieme all’hard rock), ossia il progressive e la musica underground degli anni ’60 e ’70. Mi piacerebbe realizzarlo, poiché sarebbe la naturale estensione della rubrica sulle ristampe di quel periodo, “Perfumed Garden”, che curo mensilmente su Rockerilla.

Nel corso della tua lunga carriera hai portato alla conoscenza del pubblico italiano tantissime bands che poi sarebbero divenute delle star..ricordo per esempio che la prima recensione del famigerato ep dei Guns ‘n Roses fu la tua... c’è qualche bands che a tuo parere avrebbe meritato più successo di quello avuto (di quelle da te recensite)? Allo stesso modo ti chiedo: ti è mai capitato di parlar male di una band e poi magari di rivalutarla in seguito?
Sono davvero tante le formazioni dotate di talento ed attitudine che non hanno riscosso un successo pari al loro potenziale, perché questo dipende da una quantità di fattori,dalla disponibilità a sacrificarsi alle regole dello show-business, agli investimenti della loro casa discografica, non certo da intuizioni giornalistiche. Senza andare troppo indietro nel tempo, cito i Kyuss come un caso clamoroso; sono stati fra i gruppi più seminali degli anni ’90, ma non hanno sfondato a livello commerciale. Per contro, esistono un sacco di bands detestabili o sopravvalutate che oggi vanno per la maggiore. Ad esempio non mi piacciono i personaggi dall’immagine forzata come M. Manson o gli Slipknot, ma ero sicuro che avrebbero fatto fortuna, anche per le grandi manovre promozionali che li hanno sostenuti. Generalmente non mi capita di avere ripensamenti radicali…

Hai avuto modo di conoscere ed intervistare grandi rockstar... di chi conservi il ricordo migliore? Hai qualche aneddoto curioso da raccontarci? Chi invece ti ha più deluso tra coloro che hai conosciuto?
Ricordo con grande piacere l’incontro con Ian Gillan (Deep Purple) e Tony Iommi (Black Sabbath); il primo mi diede l’impressione di notevole maturità e saggezza, il secondo, a dispetto della fama “tenebrosa” mi è parso un vero signore inglese. Mi ha emozionato moltissimo avvicinare Emerson, Lake & Palmer all’epoca di “Black Moon”, perché sono da sempre miei idoli e da ragazzo sognavo di poterli intervistare. Mi ha invece deluso per la sua arroganza Robert Plant, mitica voce dei Led Zeppelin, che si è rifiutato in modo assai sgradevole di parlare di certi argomenti (per lui) tabù, come l’heavy rock nato ad emulazione del suo gruppo storico, e la collaborazione di Page con Coverdale. Un aneddoto curioso? Ricordo ad esempio Jon Bon Jovi entrare in sala stampa a fronte alta e petto in fuori, con passo studiato: un atteggiamento da divo, ma poi si è mostrato disponibile nel rispondere a domande non sempre benevole nei suoi confronti.

Tra i gruppi che hai sempre sostenuto, anche nei momenti difficili, ci sono gli Aerosmith... da cosa è nata questa tua grande passione per la band di Steven Tyler? Avresti mai pensato che potessero fare il “botto” negli anni ’90 anche da noi?
Ho sempre pensato, fin da tempi non sospetti, ciò che recita la pubblicità della loro casa discografica: ossia che gli Aerosmith sono “The Greatest R&R Band” in America. Credo di esser stato fra i primi in Italia ad acquistare i loro dischi d’importazione. Leggevo il mensile francese Rock & Folk, che negli anni ’70 era il mio preferito, e c’era un articolo che parlava della loro ballata “Dream On” come del più riuscito tentativo in stile Jim Morrison mai realizzato. Mi diedi da fare per reperire il primo album, che includeva quella canzone, ed allora non era tanto facile, credimi. Quando ho ascoltato “Toys In The Attic” ho rinnegato per qualche tempo le mie consolidate preferenze britanniche! Con il boom Hard’n’Heavy nell’America degli anni ’80, ero sicuro che Aerosmith sarebbero tornati sulla cresta dell’onda (come si usa dire) ma certo non avrei immaginato il loro enorme successo popolare, Italia compresa, frutto di una malizia commerciale che il gruppo ha saputo coltivare negli anni, e di accorte strategie promozionali. Ultimamente però, le novità discografiche non sempre sono all’altezza della loro fama.

Nel corso degli ultimi anni hai modificato i tuoi gusti musicali o sei comunque rimasto fedele alle bands che seguivi negli anni ’70-’80?
Non credo sia più possibile produrre albums all’altezza dei primi Black Sabbath, Led Zeppelin, Emerson Lake & Palmer, King Crimson, ed in generale degli artisti di vertice degli anni ’60 e ’70, quando il rock viveva un autentico periodo aureo, sperimentando tutte le sue risorse creative. Anche in ambito heavy metal, le formazioni attuali non valgono assolutamente gli Iron Maiden, i Motorhead ed i Judas Priest degli anni ’80. Ciò nonostante, cerco di seguire con attenzione l’evolversi della scena contemporanea, sperando che certe tendenze massificanti e consumistiche non cancellino lo spirito più autentico della musica rock.

Da un paio d’anni a questa parte abbiamo assistito al ritorno di un certo modo di f are rock chiaramente legato alla tradizione degli anni ’70… Bands tipo Jet, Strokes, Hives hanno recuperato delle sonorità che sembravano ormai dimenticate dalle nuove leve..come vedi questo “revival” e quali sono secondo te le bands migliori del lotto?
Anche in questo caso potremmo ricollegarci al discorso precedente; mi piacciono in particolare Jet e Silvertide, ed ha ragione Mario Ruggeri, l’esperto di neo-garage rock’n’roll che ho voluto come collaboratore di Rockerilla, quando afferma che i veri prime-movers di questo revival sono stati gli Hellacopters. Ma se devo paragonare questi pur validi gruppi a MC5, Stooges o ai perversi New York Dolls, ritengo proprio che escano sconfitti dal confronto.

Dalla metà degli anni ’90 ad oggi abbiamo assistito a decine di reunion di bands più o meno storiche..come giudichi il fenomeno e se tu potessi scegliere quale grande band del passato ti piacerebbe “resuscitare”?
Il fenomeno è sicuramente interessante per i cultori del classic rock; rivedere in azione gruppi storici che nel loro periodo d’oro ci eravamo persi, anche per ragioni anagrafiche, è sicuramente emozionante. Generalmente queste reunions sono più che altro da apprezzare in concerto; spesso le novità discografiche risultano deludenti. Pertanto non sogno di “resuscitare” nessuno, preferisco serbare il ricordo dei momenti migliori dei miei gruppi preferiti. Mi limito realisticamente all’attesa di eventi annunciati. Per esempio si parla da tempo di una rifondazione dei Black Widow. Mi sembra improbabile, ma certo mi incuriosirebbe molto. Inoltre la stampa inglese sostiene che i Cream stiano preparandosi per un come-back in primavera, ben vengano… Nell’heavy metal, la priorità è riascoltare Rob Halford con i Judas Priest, e succederà tra poco.

Ci siamo lasciati alle spalle da poco l’anno 2004… Se tu dovessi dare un giudizio sull’anno musicale appena passato come lo definiresti?
Non voglio urtare la sensibilità di nessuno, ma per me il 2004 è stato davvero mediocre. Forse l’album di maggior impatto è stato il debutto dei Velvet Revolver, e siccome si tratta di reduci dei Guns N’Roses con l’ex-vocalist degli Stone Temple Pilots, significa che non c’è gran che di nuovo sotto il sole. Loro hanno saputo rilanciarsi dopo anni difficili e meritano un plauso, ma mi piacerebbe aver ascoltato qualche gruppo-rivelazione davvero entusiasmante.


Conoscendo la tua profonda cultura calcistica, ti propongo questo giochino a quale giocatore paragoneresti queste grandi icone del rock: Mick Jagger, David Coverdale, Angus Young, Gene Simmons e Jimmy Page?
Già, come tu ben sai, anni di sofferenze calcistiche acuiscono il senso critico… Andiamo per ordine: Mick Jagger è un’icona storica del rock, e preferisco paragonarlo ad un’istituzione del calcio britannico dei suoi tempi (migliori), trasgressivo, ribelle e “capellone” come lui: naturalmente parlo di George Best. Nei confronti di Coverdale voglio esser irriverente: così vanesio e attento alla sua immagine, mi ricorda un po’, anche somaticamente, il divetto nostrano Bettarini. Angus in concerto è in perenne movimento, saltella e fa piroette; dunque lo avvicinerei ad un motorino infaticabile ed anche “cascatore”, Nedved. Gene Simmons ha fama di irriducibile donnaiolo, perciò lo vedo come un bomber implacabile sotto rete, inoltre ha un aspetto vagamente da stregone: scelgo l’ivoriano del Chelsea, Drogba. Infine Jimmy Page: un fuoriclasse inarrivabile, ma realisticamente lontano dai suoi giorni migliori, proprio come Ronaldo!

Per chiudere... qual è il primo disco che hai comprato? Quale il primo che hai recensito? Quali sono secondo te i 3 dischi che non dovrebbero mancare nella discografia di ogni buon rocker?
Il primo singolo non lo ricordo proprio, certamente qualcosa di beat italiano degli anni ’60; invece il primo LP è stato l’omonimo “Emerson, Lake & Palmer”, nel 1970. Inoltre, il primo che ho recensito su Rockerilla è stato “Nothing Is Sacred” dei Godz, una tostissima band americana dei Seventies. Tre soli dischi fondamentali? Troppo pochi per rispondere, e poi non mi piace stilare dei valori assoluti in modo drastico. Se vuoi, ti cito tre albums da culto di cui non mi priverei mai, e che ascolto sempre con immutato piacere: il secondo, omonimo degli High Tide, un capolavoro pyche-prog dalle atmosfere dark, il debutto self-titled dei Quatermass (sorta di futuristico heavy-prog) e l’occulto “Sacrifice” dei Black Widow. Tutti del 1970, un’annata incomparabile, Sir...

pienamente d’accordo…

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