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DARE
"The Power Of Nature - Live In Munich"
Mtm/Frontiers - 2005

Si riaffacciano sul mercato i Dare dell'ex Thin Lizzy Darren Wharton, che dopo il precedente "Beneath The Shining Water" ci riprovano con questo live registrato in quel di Monaco di Baviera.
Buona la registrazione e la performance della band, che riesce a dare il giusto pathos a tutti i brani, soprattutto grazie alla voce di Wharton, calda ed emozionante, coadiuvato da cori ben strutturati ed eseguiti, nonostante in certi frangenti sembri un pò troppo "timida" e leggera, ma forse questo è più un problema di produzione che si avverte anche su certe parti soliste di chitarra.

In definitiva questo live appare comunque un pò troppo scarno di contenuti, con solo 10 brani ad allietare l'ascoltatore, tra cui le ottime iniziali "Sea of Roses" e "Where Darkness Ends" e il trittico finale, ripescato dal primo album della band, che include "The Fire", "We will return" e "Song for a friend"; anche il pubblico sembra a tratti troppo lontano e poco partecipe, ma devo ammettere che anche in questo caso non si capisce se sia una pecca della registrazione o l' effettiva resa di quel concerto.
Comunque, a quanto pare, sembra sia un album di discreto successo su cui la Mtm punta particolarmente, vista la presenza nella top ten svedese come dichiarato dalla casa discografica e l' imminente uscita del relativo dvd.
Acquisto consigliato ai fans della band!
Paolo Pirola

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VIRUS
"Sick Of Lies"
Lion Music - 2005

Cambio di direzione per la svedese Lion Music, che dopo aver proposto centinaia di pubblicazioni di artisti più o meno virtuosi, ed album farciti di grande tecnica e peripezie evolutive, ci offre questi Virus, proposta grunge-alternative metal che tutto sommato non è poi così male.
Finalmente si sentono suoni di batteria diversi, chitarre moderne ed utilizzate in modo non proprio canonico ed un cantato cattivo ed incazzato non certo adatto a cantanti dai fluenti capelli biondi dal viso d'angelo. Sin dall'iniziale "Lost" ho la sensazione di trovarmi di fronte ad uno strano frullato di influenze e generi diversi: le ritmiche serrate di chitarra, batteria e basso mi ricordano una sorta di metal tedesco di ultima generazione, alla Kreator o Theater of Tragedy per intendersi, il tutto farcito da una splendida voce grunge americana, figlia di Soungarden ed Alice in Chains, e tutto sommato devo dire che il mix ha un'ottima resa ed un impatto "nuovo" sull'ascoltatore.

Il low tuning delle chitarre e l'utilizzo ritimo innovativo fanno accostare più volte i Virus ai mostri sacri del genere, in primis ai Korn, e basta sentire tracce come "Mother Earth", "360" o "Free" per capire come questa influenza sia ben radicata, quasi fosse un virus non debellabile (passatemi la battuta!).
Alle ritmiche monolitiche si accostano inoltre autentiche accellerazioni di doppia cassa, tipiche di bands quali System of a Down, o per restare in territorio europeo, alla new sensation Shadow Falls.
"Sick of Lies" è proprio un gran bell'album, vario al punto giusto, moderno e mai scontato, e devo proprio fare un applauso alla LionMusic che mostra con questa operazione una larghezza di vedute che non avrei mai immaginato.
Siccome anche non siamo "stanchi delle bugie" discografiche che ci vengono propinate, direi di dare almeno un occhio alla carriera della band, che con le giuste mosse promozionali potrebbe essere veramente ricca di grandi soddisfazioni.
Paolo Pirola

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PINK LIZARD
"Rock N' Roll Injection"
Self Produced- 2005

Uhmmm dove eravamo rimasti?!? ...ah si, al loro bel demo CD del 2003 che in seguito li ha portati a una notevole attività live tra cui il Mascara Massacre, Slam! Summer Party a Venezia, ecc. Dopo essersi fatti le ossa sui palchi del nord-est rieccoli qui con quattro nuove tracce fresche fresche di stampa che ci confermano le buone cose dette in passato sulla band. La matrice ottantiana del quartetto emerge anche in questo nuovo lavoro seppur si avverte una certa predisposizione per sonorità più attuali, ma che non vanno mai ad intaccare la classica struttura hard rock delle composizioni.

La prima canzone prende il titolo appunto di "Rock N' Roll Injection" con il guitar-riffing di Mauro in primo piano, sulle stesse coordinate si sviluppa la successiva "Dress Yourself" più votata ad un approccio Beautiful Creatures-iano.
"Insomnia" e "No Where Run" solo meno incisive delle precedenti, ma sempre sopra la media dove si continua a respirare del sano nu class hard rock. Indubbiamente il gruppo padovano non tenta di accodarsi alle mode attuali, ma sa bene come iniettarvi delle buone dosi di Eighties hard rock.
Moreno Lissoni

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UNCHAIN
"Unchain"
AOR Heaven - 2005

“Nihil sub sole novi” per questa formazione Svizzera ma a volte, come in questo caso, il corretto utilizzo di cose già sentite può comunque dare risultati gradevoli. Gli Unchain di originale non hanno proprio niente, a partire dal nome. Ci sono sonorità fortemente influenzate dal sound ottantiano (“Save me” e “can stay in hell”), ritornelli ficcanti (“Secret garden”), un rock n’ roll fregato agli AC/DC di “Rocker” o ai Grat White di “Call it rock ‘n’ roll” (“Get it Live”), un pezzo carino con il ritornello copiato pari pari da “So lonely” dei Police (“Sabrina”) ed un bel bluesaccio lento (“Yesterday”). Nemmeno “Gotta leave your mama” suona nuovo, è un brano figo ma ricorda i “Will and the kill” di Will Sexton.

Malgrado la mancanza di qualsiasi novità l’ascolto finisce con l’essere assolutamente piacevole, con una buona dose di grinta e suoni niente male gli Unchain si rivelano assolutamente positivi.
Poteva mancare la ghost song acustica? Ehi, ragazzi… ma è uguale a “Sweet home Chicago”!!!
Matteo Pinton

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EDGE OF FOREVER
"Let The Demon Rock'n'Roll"
Mtm/Frontiers - 2005

Ambizioso progetto di puro Hard Rock ottantiano, questi Edge of Forever vedono militare nella propria formazione il rodato vocalist Bob Harris ed il tastierista italiano, già membro di Time Machine e turnista per vari pezzi da novanta, Alessandro Del Vecchio.
Come già detto, il genere proposto è un classico hard 'n heavy figlio diretto degli anni Ottanta, farcito da grandi melodie e refrains e da partiture neoclassiche come il buon vecchio Malmsteen insegna.
Di riconducibile al chitarrista vichingo c'è anche il massiccio uso di tastiere, che in parte restano in linea con quanto il genere prevede, ed in parte ci mostrano la perizia tecnica del buon Alessandro, che ha dalla sua l'uso di suoni moderni e piacevoli, spesso abusati nelle produzioni più progressive, e non solo del classico organetto, clavicembalo e poco d'altro spesso sentito negli album neoclassici.
Ad amalgamare tutto un'ottima sezione ritmica, che non fa gridare al miracolo ma che resta sempre fedele ai canoni che il genere impone, oltre ad un guitar-work strabordante che, giunti a questo punto, potete immaginare da chi prende le proprie ispirazioni!

Voglio sottolineare i brani meno scontati come "One last Surrender", con il suo intro quasi progressivo in contrasto con il refrain pomp rock ed il pianoforte in netta evidenza nelle strofe, oppure la vagamente Sabbathiana e Seventies title-track e la Priest-iana "Feel like Burning", con i suoi riffs di chitarra e assoli ispirati, spero di non sbagliare, dalla coppia Tipton-Downing.
Ad esaltare un album non propriamente originale ma sicuramente ben suonato e composto, la produzione del mitico Bobby Barth, chitarrista dei leggendari Axe che ha dimostrato di essere anche un ottimo produttore, e che darà sicuramente prestigio e qualità in sede di promozione.
Paolo Pirola

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SYBILLA
"Rock Ain't Dead!"
Self Produced- 2005

Davvero positivo l'esordio di questa band marchigiana composta da Jan, W.B. e Widius (già visti nella band di ZAP, co-autore di "White Rose"), Alex e Njola e attiva da solo un'anno. "Rock Ain't Dead!" viaggia su diversi generi che vanno dal blues dei Seventies all'hair metal con spruzzate di synth e sonorità attuali, sei brani, tra cui la cover di "Immigrant Song" dei Led Zeppelin dove il classico hard rock regna incontrastato.

Si parte con il botto, "Gimme Some Rockin'", ruffiana e con un ottimo muro sonoro dato dalla band, si vira verso gli anni 70 con la seguente "Today", ma ritornello e cori sembrano arrivare direttamente dalle loro influenze ottantiane, stesse influenze evidenti nella romantica "White Rose", un grazioso rock radiofonico dalla struttura Eighties con le sonorità di oggi. Altro pezzo dall'indole radiofonica e darkeggiante è "I Don't Believe", 5 minuti e 12 secondi dalle atmosfere cube e intense.
Nel loro background troviamo QUEEN, Led Zeppelin e KISS, quindi, se avete voglia di ascolarvi un buon disco a base di hard rock digitate www.sybillaonline.com e richiedete questo "Rock Ain't Dead!".
Moreno Lissoni

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EXCALION
"Primal Exhale"
SoundRiot Records - 2005

Ennesimo album di pseudo Power metal sinfonico per la SoundRiot, che ora propone alle pagine di Slam!, sicuramente poco interessato al genere, i finlandesi Excalion.
Non sono chiuso e poco aperto ad altri generi, tant'è che uno dei miei gruppi preferiti sono proprio i padri del power Helloween, ma credo che se continuiamo di questo passo, anche gli aficionados del genere saranno presto stanchi di sentire gruppi scandinavi che non fanno altro che fotocopiare i capolavori delle zucche di Amburgo mischiati a quanto già stanno facendo da più di un decennio grandi bands quali Symphony X o Stratovarius.

E con questa premessa ho già praticamente recensito l'album, nel senso che chi conosce i gruppi che ho citato sà cosa aspettarsi dalle songs che compongono Primal Exhale: vocals stratosferiche che si spostano su ottave da tenore (in questo caso la voce è molto simile al buon Timo Kotipelto), ritmiche strettamente power metal, a volte sparate a 200 di metronomo, a volte terzinate ecc. ecc. e chitarre e tastiere intrecciate a velocità supersoniche, come un gruppo finlandese ben più famoso ha ben insegnato (è quasi imbarazzante la somiglianza della terza song "Reality Bends" ad una qualsiasi canzone nella discografia degli Stratovarius).

Con questo non voglio stroncare gli Excalion, che sono un'ottima band composta da ottimi musicisti (e molto giovani da quanto si evince dalle foto del booklet), ma voglio condannare quell'industria discografica che costringe tacitamente le bands a suonare come fotocopie di altre più blasonate per strappare un misero contratto di distribuzione.
In attesa che il vento cambi direzione, consiglio questo cd solamente a chi sta ancora aspettando l'uscita di "Keeper of the 7th Keys part III".
Paolo Pirola

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SOUL SIRKUS
"World Play"
Frontiers - 2005

Di recente approdati in Italia, i Soul Sirkus sono una sorta di supergruppo che con "World Play" si è divertito a mettere su cd le proprie influenze e capacità.
Partiamo con le presentazioni di rito che vedono Jeff Scott Soto alla super voce, Neal Schon alle chitarre, Marco Mendoza al basso e Virgil Donati alla batteria; ci troviamo quindi di fronte ad artisti di fama e di calibro elevatissimi, che non smentiscono affatto le aspettative che un album del genere crea.

Nel corso dei lunghi 70 minuti di durata, troviamo vai generi di rock, a tratti progressivo, a tratti più diretto, fino ad arrivare alle influenze soul e black music, magistralmente interpretate da un Soto in grande spolvero, trascinante come solo un cantante rock di razza può essere, conducendo la band come un perfetto maestro d'orchestra.
I compagni non sono certo gli ultimi arrivati, e basta sentire l'iniziale "Highest Ground" per capire che il sig. Schon e' ispirato ed in gran forma, cesellando riffs caldi e corposi, ma allo stesso tempo "taglienti" e con un coefficiente tecnico veramente elevato, oppure l' intro di batteria della successiva "New Position" per confermare la nomina di "Thunder from Down Under" a "picchia tutto" Donati, personalmente uno dei migliori drummer rock in circolazione.

Le composizioni proseguono saltando letteralmente da un'atmosfera all'altra, dall'orientaleggiante e sensuale "Another World" alla bluesy "Soul goes on", dalla vagamente "seattleiana" "Periled Divide" alla più scontata "Friends to Lovers", dove emergono le influenze più AOR dei Talisman di Soto.
"My Sanctuary" sembra invece essere un inno agli Eighties, dove Van Halen, una macchina cabrio e le spiagge di Malibu la fanno da padrone, per chiudere con l'immancabile ballad "Coming Home", dolce e sognante, e con la più poppeggiante "Close the Door", quest'ultima non propriamente un capolavoro e forse non all' altezza del resto del lavoro, ma alla quindicesima canzone glielo si può anche concedere.
Chiudono il lavoro ben quattro bonus tracks, maggiormente improntate sulle influenze soul già citate, dove Soto sembra sguazzare a proprio agio, e dove a farla da padrone è la stupenda "James Brown", chiara ode ad una delle migliori voci in assoluto.
A quanto pare, il prodotto finito includerà anche un dvd, quindi non potete perdere di vedere all'opera queste band di "supereroi"!
Paolo Pirola

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BOYVOICE
"Overload"
SerenityEscape Music - 2005

Li avevo conosciuti a metà anni 90 quando acquistai il loro secondo CD dal titolo "Dirty Talks", e a distanza di 12 anni sono ritornati con un nuovo album per la Escape Music. Il suono di questo "Serenity" ricorda fin da subito gruppi come DEMON DRIVE e CASANOVA e forse è dato dal fatto che nella line-up ritroviamo Jochen Mayer (bassista originale dei tedeschi) che ha appunto militato in entrambi le band e ultimamente visto anche nei DOMAIN quindi, formazione originale con Mani Gruber, Peter Diezel e Alex Hötzinger.

Non aspettatevi nulla di nuovo dai BoysVoice perchè la loro musica è 100% crauti melodic rock, fuori moda si, ma bocconcino appetibilissimo per chi ama certe sonorità, infatti non è difficile fare paragoni con i Casanova o Demon Drive ascoltando "Open Your Eyes" o "Too Late" oppure con i Bonfire in "Crazy" o "Rocket".
Il disco rimane su buoni livelli per tutta la sua durata offrendoci buoni spunti con la melodicissima "Light’s Out", la romantica "Always On My Mind" e l'HARDLINE-iana "Only See You There". Ascolto piacevole e rilassante.
Moreno Lissoni

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VAN ZANT
"Get right with the man"
Sony - 2005

Ve lo ricordate quel vecchio film di fantascienza dove degli scienziati venivano rimpiccioliti per essere iniettati nel corpo umano? Mi piacerebbe subire lo stesso trattamento e finire nel corpo di Lacy Van zant, capostipite della famiglia Van Zant e poter vedere cosa c’è nelle sue palle.

Eggià, perché lì dentro qualcosa di speciale ci deve pur essere se il vecchio ha messo al mondo Ronnie, Donnie e Johnny, praticamente la storia del southern rock nonchè tre ugole da brividi.
Il povero Ronnie, il più dotato dei tre, purtroppo ci ha lasciati da un bel pezzo ma gli altri due si danno da fare: Donnie coi suoi 38 Special e Johnny che coi Lynyrd Skynyrd continua la strada del fratellone scomparso. Ogni tre o quattro anni Donnie e Johnny si ritrovano in studio e danno alle stampe il loro bel dischetto con il monicher di, guarda caso, Van Zant.
Per “Get right with the man” niente di nuovo, la formula si ripete e forse siamo un gradino sotto rispetto ai precedenti “Brother to brother” e “Van Zant II” ma questi due hanno delle voci che potrebbero farmi comprar dischi anche se cantassero in una tribute band di Jennifer Lopez.

Apertura “siciliana” con uno scacciapensieri che introduce “Takin out space”, un solido brano di rock sudista a cui fa seguito la prima ballatona “Nobody gonna tell me what to do” impreziosita da un organo hammond appena accennato. Segue “Sweet mama” già presente su “Vicious Cycle” l’ultimo dei Lynyrd Skynyrd, un classico brano in stile Skynyrd del quale però preferivo la versione originale. Ritorno sui toni pacati con “Help somebody” brano di rara retorica “all american” e la bellissima “Things I miss the most”. Chi se ne frega se la parte iniziale è uguale a “Things goin’ on” del 1973? E’ bella lo stesso. Ancora un paio di pezzi tirati a metà strada fra gli ultimi Lynyrd ed i 38 Special, “I can’t help myself” la ballad più ballad del disco e una chiusura con cui è impossibile star fermi “Lovin’ you”. Sarà anche sotto tono rispetto ai due precedenti, ma io sto disco lo sto ascoltando da una settimana senza smettere. Sarà che sotto sotto sono un southern gennelman?
Matteo Pinton

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BRUNOROCK
"Interaction"
Mtm - Frontiers - 2005

Nuovo lavoro per l'italianissimo Brunorock, artista nostrano di spicco della scena aor nazionale che si sta sempre più ritagliando una grossa fetta di sostenitori ed appassionati in tutto il vecchio continente, forte di un contratto con una delle migliori label del settore.
Credo che, con questo nuovo "Interaction", il singer abbia compiuto un sostanziale passo verso il gotha del melodic rock, là dove già regnano e spopolano bands quali Ten, Hard Rain, Dare ecc ecc...
Spendo subito due parole sulla produzione dell' album, qualitativamente negli standard che il genere richiede, ma con il grosso pregio di essere pomposa e genuina, con il giusto "tasso di modernità" senza, e sottolineo senza, essere artefatta e costruita dietro la tastiera di un processore qualsiasi.

Pregio che negli ultimi tempi sembra essere diventato qualità per pochi eletti, perche' nel 2005 è facile costruire un album dietro alla consolle, ma sono sempre meno gli album che "spaccano".
L'opener "It's all been done 4 me", preceduta da un intro epico di tastiere, sta a confermare che Brunorock ha intenzione di "spaccare", con il suo incedere trainante ed incisivo, in contrapposizione alle vocals ultra melodiche e raffinate, ricche di cori e contro cori che irrompono nel refrain raffinato e sognante.
Le successive "Now dies the truth" e "Pray for the rain" sono due godibili mid tempos poco scontati nella struttura ma sempre incisivi, la seconda delle due introdotta da un bel pattern di batteria a metà strada tra il tribale ed il sudamericano, seguite a ruota dalla ballatona di turno, "Let me be the one", tutta voce e chitarra acustica, un po' a la Mr Big per intenderci.

"Castaway" e "Take the trophy" sono due bei pezzi di hard rock classico, un po' meno pomposi dei precedenti, forse anche un po' meno di qualità, ma non per questo poco apprezzabili e senza dubbio non sono delle canzoni riempitive, anzi penso funzioneranno benissimo in sede live.
Probabilmente le due precedenti vengono anche messe in scarsa luce dalla bellissima "Hard working day", canzone che giudico come la migliore del pacchetto, melodica, catchy... insomma ha tutte le carte in regola per essere l'hit single dell'album, ma che a dispetto della media delle canzonette da classifica, mantiene sempre una classe ed un' esecuzione notevole.

Anche "No more promises" e l'acustica "One way one life" sembrano essere canzoni passaggio verso la finale "La fonte dei sogni", avete capito bene, una canzone tutta in "lingua madre", coraggiosa nella scelta ma allo stesso tempo una dimostrazione palese di come si possa fare del buon rock cantato in italiano, del rock che se presentasse la firma dei vari Ligabue, Negrita e compagnia bella, troveremmmo sicuramente nella hit list italiana.
Non ho ancora citato i compagni di viaggio di Brunorock, ed appositamente vi rimando al suo sito (www.brunorock.com) in quanto sono molti, noti e tutti meritevoli della stessa stima; vi segnalo, per amor di patria, Paolo Morbini dietro le pelli ed Alex DeRosso alla cinque corde, e per caratura, Rachel Bolan al basso e Michael Wagner al mix... curiosi di sentire il risultato? Andate a comprare il cd...
Paolo Pirola

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THE BULLETZ
"200 Shots"
Self Produced - 2005

Sono proprio bravi i Bulletz con il loro rock’n’roll settantiano ispirato dai dischi degli Stooges, Dead Boys e dei più recenti Hellacopters e Gluecifer. Dopo i buoni responsi ottenuti con il primo EP e l'abbandano del bassista Vitale, il quartetto salernitato è tornato in studio per registrate il loro secondo ep autoprodotto, questo "200 Shots", curato sotto ogni aspetto: parte grafica e multimediale contenente biografia, foto e gli mp3 del vecchio materiale (recensito nella sezione New Bandz di SLAM!) e soprattutto la musica suonata e prodotta.

L'avvio è dato dalla tirata "Something cool", dalle scandinave "Neighbour Demolition" e "Slipperiness" (quest'ultime sono i miei pezzi preferiti), per poi proseguire sempre con le stesse coordinate sonore con "Bad Reputation" e "Trip In My Head". Boss, Sal Mirabella, Lucky Evangelista e Wild JP ci mettono tra le mani un dischetto decisamente professionale, per un ascolto godibile pur non trattandosi di un lavoro "innovativo".
Moreno Lissoni

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HAREM SCAREM
"Overload"
Frontiers Records - 2005

Non è passato molto tempo dall'uscita dell'eccellente "Higher", ma ecco riemergere i campioni canadesi del soft rock con una nuova stella nel loro già brillante firmamento discografico.
La premiata ditta Hess/Lesperance non delude neppure questa volta, e non sembra mancare un obiettivo, nè dal punto di vista compositivo, nè da quello della produzione, senza contare le grandissime doti tecniche di cui la coppia dispone.
Come premessa generale devo dire che "Overload" si lascia alle spalle le melodie più scanzonate e easy-pop del lavoro precedente per cercare un approccio più intimista e se vogliamo più cupo e profondo, con melodie che a volte strizzano l'occhio ai cugini Nickelback che tanto spopolano su Mtv e affini.

Anche in fase di produzione, cristallina ed impeccabile come sempre, sembra che i nostri abbiano cercato di battere la via del "moderno", con suoni di chitarra più compressi e ricercati, vicino a certe soluzioni adottate dai vari Vai e Petrucci, e con un "tappeto" ritmico talmente folto e ben amalgamato da sembrare uno strumento unico.
Il cd parte con l'incalzante "Dagger" e continua con un'alternanza ben studiata e pianificata di mid-tempos e semi-ballads che non annoia l'ascoltatore con il suo susseguirsi di potenziali hits da bere tutti d'un fiato.
Da segnalare la splendida "Can't live with you", che tanto vorrei sentire in rotazione in ogni radio nazionale, al pari di quei gruppi (vedi sopra) che tanto sono osannati per la loro spiccata melodicità, il più delle volte costruita su di un tavolino pieno zeppo di dollaroni, ma che spesso copiano se stessi dopo il secondo singolo.

Carenza che non sembrano accusare gli Harem Scarem, che proseguono imperterriti con grandi chorus e refrains che ti si stampano dritti in testa (ascoltate "Leading me on" o la successiva "Understand you" e mi saprete dire) per tutta la durata del lavoro.
Unica pecca da segnalare è forse il leggero calo della conclusiva "Wishing", bonus track che non so su quale edizione apparirà, e che forse non regge il confronto con il resto dell'album, anche se probabilmente si tratta solamente di una questione di gusti personali.
Per chiudere, "Overload" non sarà sicuramente il "Mood Swings" del Duemila, ma e' un altro passo, perfetto, verso l'olimpo del melodic rock.
Attendendo di vederli finalmente in Italia, consiglio vivamente l'acquisto agli appassionati del genere... e non solo!
Paolo Pirola

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ZAK DANIELS And The O.E.S.
"Snakeland"
Big Water Records - 2005

Ripescato per caso nella giungla di internet, dopo uno scambio di email scopro che Zak Daniels custodisce ancora una vecchia copia di SLAM! del 2000 dove era presente la recensione del suo primo disco... passati ben 7 anni dal loro esordio discografico rieccolo qui coadiuvato da Jim Katsikides alla chitarra, Doug Lavery alla batteria e Orion Lindemann al basso con un nuovo disco dal titolo "Snakeland".

Il genere proposto dal quartetto di Venice Beach è un classico hard rock dalle sfumature settantiane, un buon cocktail composto da THIN LIZZY ("Pay"), BAD COMPANY ("Bar Hoppin Blues") e ROLLING STONES ("Shy Girl") che si fa ben ascoltare senza deludere, ma neanche senza far gridare al miracolo. I pezzi di punta, oltre ai già citati, li ho individuati in "Cautiously Optimistic" che in certi passaggi mi ha ricordato i DOGS D'AMOUR e il boogie rock di "Hearts Break Easy", mentre le rimanenti composizioni sprigionano energia Seventies.
Credo non ci sia molto altro da aggiungere, hard rock vecchio stampo che ha come ingredienti principali sudore e passione.
Moreno Lissoni

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JAKE E. LEE
"Retraced"
Shrapnel Records - 2005

Prendete un chitarrista quasi cinquantenne cresciuto fra il West Virginia e San Diego, mettetegli davanti una Fender, una Jackson o una ESP e lasciategli suonare il suo rock dalle forti influenze blues, finalmente, ancora una volta, da solista, dopo tempi più o meno gloriosi passati a condividere il destino e il tour bus di Ozzy Osbourne e dell’ex Black Sabbath Gary Gillen, tra dischi di platino, partecipazione a tributi e AIDS. A quasi dieci anni di distanza dal suo predecessore esce il secondo disco solista di Jake E. Lee, un musicista che forse non ha inventato niente, ma che si è sempre distinto per la sua bravura e la raffinatezza con cui riesce a rendere interessanti anche pezzi sobri e semplici, come gli undici elementi che compongono “Retraced”.

Nonostante il disco brilli per l’ottima produzione (è una creatura di Mike Varney, non c’è certo da lamentarsi) e per un tipo di suoni che ci fa ripiombare indietro almeno di un decennio, in generale ci si convince di avere di fronte un buon lavoro, ma al tempo stesso c’è un leggero amaro in bocca. La prima metà dell’album infatti è composta da pezzi in cui domina nettamente la voce, lasciando a bocca asciutta chi si aspettava qualcosa di più da un chitarrista che sa il fatto suo. Non si tratta di pezzi brutti o suonati male, ma non dicono niente di nuovo, sembrano una rivisitazione del vecchio Joe Cocker, danno troppo risalto all’anima blues del chitarrista e seppelliscono quasi totalmente il rock. Per fortuna, chi resiste alla tentazione di gettare via il CD per dedicarsi ad altro troverà maggiori soddisfazioni nella seconda parte, che ha inizio con le ottime “Guess I’ll go away” e con “Love’s worth the blues”, i due pezzi meglio riusciti in assoluto.

Da qui in poi c’è un maggiore equilibrio fra cantato e strumenti, un grande risalto dato inoltre alla batteria e una maggiore varietà nella costruzione dei pezzi. In certi momenti si ha quasi l’impressione di essere piombati per caso in un blues bar americano con i tavoli di legno polveroso e le fette di cheesecake dietro il bancone, mentre si susseguono “I come trumblin’”, un rock veloce dal finale sorprendente, i ritornelli accattivanti e facili da ricordare di “A hard way to go” e di “I can’t stand it”. Il rocker solitario che brinda a un tavolo in fondo alla sala accoglie con piacere la leggera malinconia che traspare dalle note della energica e conclusiva “Rock candy”, anche se si tratta di un pezzo poco melenso, per nulla propenso a lasciare che gli ascoltatori vengano sopraffatti da un mare di note zuccherose.

“Retraced” risulta quindi essere un lavoro di facile ascolto, accessibile a ogni amante del rock e del blues senza eccessivi fronzoli, di cui facilmente si colgono gli elementi portanti, anche se non bisogna lasciarsi scoraggiare, ripeto, da una prima parte più in sordina e in odore di cose già sentite: il tutto è prontamente smentito, più vario, suonato ancora meglio nel restante 50% del disco. Dispiace solo che Jake E. Lee sia l’ennesimo personaggio che vive in sordina la sua carriera da solista, nonostante la positiva esperienza con i Badlands, che ebbe inizio nel 1989 e il ben noto, ingrato compito, di sostituire Randy Rhoads a fianco di Ozzy Osbourne. Con queste premesse ci si potrebbe aspettare un maggiore riscontro di pubblico, come avviene per il mercato giapponese (che alla fine del 2004 ha pubblicato un tributo a lui dedicato), ma la realtà sembra essere diversa. In ogni caso, buona fortuna.
Anna Minguzzi

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LANA LANE
"Lady Macbeth"
Frontiers Records - 2005

Nuovo lavoro per Lana Lane, in cui la gioiosa regina del rock melodico americano si cimenta in un concept album centrato sulla figura del celeberrimo personaggio Shakespeariano. Se amate le sonorità heavy e prog costellate di spunti sinfonici questo è il disco che fa per voi. Si tratta di una produzione decisamente curata, in cui la voce di Lana si inserisce perfettamente con toni carichi e intensi. La band che l’accompagna è, praticamente, un’orchestra, 8 membri, tra cui spicca la figura di Erik Norlander (produttore, nonchè gentil consorte di Lana) alle tastiere, ben sfruttate per dare un tocco di epico al tutto.

Apre la trionfale “The dream that never ends”, di impronta decisamente power, che con i suoi 7:56 minuti dà un assaggio di quello che l’ascoltatore deve aspettarsi. La struttura si orienta verso un rock dai toni melodici, vagamente riflessivi e malinconici. Non a caso la tastiera ricopre un ruolo fondamentale, come in “Something to believe” e la struggente “Our time now”, pur non disdegnando qualche episodio più spiaccatamente heavy, come “Summon the devil”. La presenza di un così grande numero di strumenti permette di spaziare e offire soluzioni più variegate. In più di un’occasione le chitarre si lasciano trascinare dalle tradizioni care al power più incazzuso e si sciolgono in infiniti assoli ipertecnici (nonchè iperpallosi), e così ad alcuni pezzi interessanti e di grande intensità se ne alternano altri parecchio noiosi, in testa “No tomorrow” e “The vision”, mortale traccia strumentale.

el complesso è un lavoro molto curato, forse anche troppo, con una supporto vocale sicuramente degno. Mi sento di consigliarlo ai puritsti del genere, gli amanti di suoni grezzi e istintivi ne restino ben alla larga, o il loro istinto latente di serial killer si manifesterà in maniera inesorabile.
Claudia Schiavone

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