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Miguel Basetta

Sabato 6 ottobre siamo stati a Rotterdam per un festival, in cartellone c’erano Rip Offs, Radio Birdman e Peawees. Bé – totalmente rincoglioniti - il giorno dopo abbiamo rischiato di perdere l’aereo da Amsterdam. La signorina dell’imbarco ha chiamato all’altoparlante noi e indovinate chi? Proprio i Peawees: Hervé, Lalo, Carlo e Livio. Italiani, soliti ritardatari? Effettivamente, avreste dovuto leggere quest’intervista prima dell’estate e invece eccola qui, in pieno autunno. Il tempo è quello che è, poco per tutti. E passa più o meno veloce: i Peawees hanno pubblicato “Dead End City” nel 2001, “Walking the Walk” è arrivato solo quest’anno. Signori e signore, quattro chiacchiere con Hervé.

Finalmente un nuovo disco: che avete fatto dal 2001 a oggi? Tipo, cambiare batterista e chitarrista e cose così…
Sì, sono successe parecchie cose nella vita di ognuno di noi. I cambi di formazione hanno rubato un po’ di tempo e ci sono stati momenti non facili. Ogni volta succedeva qualcosa per cui non era mai “il momento giusto” per concentrarsi sul disco nuovo e forse è stato un bene aspettare, anche perché due anni fa non saremmo stati in grado di fare un disco… Fortunatamente non abbiamo mai smesso di suonare dal vivo.

“Walking the Walk” è ancora meno legato a canoni punk rock e decisamente più roll, melodico, pulito. Una scelta di campo? Naturale evoluzione?
Direi naturale evoluzione. Non abbiamo mai fatto un disco uguale all’altro proprio perché non ci imponiamo mai troppi schemi. “Walking the Walk” rappresenta appieno i Peawees oggi. Abbiamo dedicato più tempo alla produzione, cosa che avremmo sempre voluto fare ma che per questioni di tempo e soldi non è mai accaduto. Nell’arco degli ultimi cinque anni i nostri ascolti si sono ampliati e sicuramente questo ha influito sul suono del nuovo album.

Prima l’Ammonia, ora Wynona. In Italia si può suonare e vendere rock and roll in modo professionale (e non stiamo parlando di campare con la musica, per carità…), senza sputtanarsi? Compromessi?
Abbiamo scelto Wynona perché era l’unica etichetta italiana che potesse garantirci una certa distribuzione. Stesso motivo per cui pubblicammo “Dead End City” su Ammonia. In Italia non esistono etichette rock ‘n’ roll che lavorino in modo professionale ed è un vero peccato, anche se la cosa è comprensibile poiché non essendoci una cultura di base fallirebbero dopo pochi mesi o faticherebbero a sopravvivere.

Oltre a Blitz, c’è qualcun altro in Italia in grado di organizzare decentemente un tour di una band punk rock o rock and roll o quel che è, azzeccando locale e serata, rispettando il gruppo e tutte queste belle cose?
In Italia ci vorrebbe un’etichetta con la stessa attitudine di Blitz. Hanno gusto, rispettano le band e sono consci del fatto che per lavorare con il rock ‘n’ roll in un paese come il nostro devi rimboccarti le maniche senza perdere troppo tempo a lamentarti.

A parte il tour europeo, avete suonato al Rotterdam Rumble con Radio Birdman e Rip Offs. In passato avete fatto da spalla ai Dwarves… C’è una band con la quale non avete ancora suonato e vorreste farlo?
Non particolarmente. Ci sono un po’ di gruppi che ci piacciono: se capita l’occasione di dividere il palco con loro e fare due chiacchiere è ovviamente un piacere, ma desideriamo prevalentemente suonare in posti nuovi.

Come ci si sente a essere un modello per band italiane e non, gruppi che magari limitano tutto a un ciuffo e due fiamme sulla copertina del disco?
Ovviamente fa piacere sentirsi dire che il tuo gruppo è un punto di riferimento per alcune band. Altrettanto deludente quando, come dici tu, tutto viene limitato a un fattore estetico che nella maggior parte dei casi casca nel patetico.

Ecco, dove sta il limite tra la forma e la sostanza?
Sono entrambi necessari. La sostanza sta alla base e senza quella sei come una macchina senza motore. La forma serve a dare magia, ma se non c’è spontaneità non ha mai un bell’effetto.

Quanta gente si è persa per strada in questi anni? Pensiamo al tributo italiano ai Queers (“Blow out with history”, una compilation invendibile e invenduta, si trova in ogni negozio di dischi che si rispetti – tra le offerte, ndBasetta): quanti gruppi comparsi lì sopra suonano ancora?
Non ne ho idea. La gente che “non c’è più” era probabilmente nel posto sbagliato nel momento giusto.

E’ vero che sopravvive e vince il migliore, i migliori? Di quelle band, ci siete ancora voi, i Manges, i Retarded (che all’epoca avevano un altro nome, ma vabbè), Miccetta e Christian degli Stinking Polecats, Massi che ora suona con i Leeches
Sopravvive chi è sulla strada giusta per se stesso. Sono dell’idea che chi ha mollato lo ha fatto perché aveva intrapreso una strada sbagliata. Per alcuni è una semplice esperienza di vita, per altri è vita. Non vince nessuno, ci aggrappiamo tutti a qualcosa: chi al lavoro, chi alla squadra di calcio, chi ad un rapporto morboso… chi al rock ‘n’ roll.

Magari non tutti sanno che avete partecipato alla colonna sonora di un videogioco…
Sì, nel 2003 due nostri pezzi (“Road To Rock n Roll” e “By My Side”) sono finiti sul gioco NHL Rivals per X-Box . E’ una cosa di cui si è occupata la Stardumb. So che li aveva scelti qualcuno alla Microsoft che per risparmiare sul prodotto prendeva canzoni di band su etichette indipendenti. Le major costano!

Un po’ di sana pubblicità: Hervè gestisce lo Shake Club a La Spezia. Cos’è? Quando inserisce in programmazione spettacoli di lap dance?
Ah, ah… Ho comprato due pali cromati ma non ho ancora trovato il tempo di ancorarli a pavimento-soffitto… Comunque, lo Shake Club è un ex appartamento nella zona industriale di Spezia dove io e altre persone abbiamo costruito due sale prova e messo su un bar… In poche parole è un “locale/sala prove” dove nei week-end organizziamo serate, dj set o concerti.

Momenti epici e attimi imbarazzanti nella vita dei Peawees?
I Peawees che si svegliano di buon ora per andare all’aeroporto di Linate in direzione Copenaghen: al momento del check in si accorgono che dovevano partire da Malpensa. Ovviamente, nonostante i patetici tentativi, abbiamo perso il check in e siamo partiti senza strumenti… e senza Livio che ci ha raggiunto alle 11 di sera, dieci minuti prima di salire sul palco (e qui diventa momento epico). Poi i Peawees che a New York vengono gentilmente allontanati dalla casa nella quale erano ospiti poiché il vicinato si era lamentato col padrone di casa: al mattino andavamo in giro in mutande per il giardino. A questo si aggiunge il fatto che abbiamo reso uno schifo una casa che fino al giorno prima era da catalogo. Comunque, molti concerti possono essere definiti, almeno per noi, epici: un delirio totale che non dimenticheremo mai. Probabilmente la cosa più grossa per l’epoca in cui é successa e l’età che avevamo è stato fare un tour negli Stati Uniti. Era il 1998, avevamo 21-22 anni: non so quante punk band italiane fossero andate negli States… Ora non è più cosi difficile.

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