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ALICE COOPER & DOGS D’AMOUR
9 dicembre 2002 – Palageorge, Montichiari (BS)

Questo è uno di quei concerti che non si dimenticano facilmente, non capita così sovente di vedere due gruppi così distanti per genere e pubblico, ma a loro modo simili per aver scritto un pezzo di storia del rock’n’roll. Il tempo di mangiarci i nostri lussuriosi panini, accompagnati con gusto da ottimo Rubicante, e prendiamo posto nelle prime file del Palageorge: non male il posto, ma purtroppo per noi caratterizzato da un impianto voce terrificante, unica nota dolente della serata che influenzerà negativamente le tuttavia ottime performance delle due band.

“What’s Happening Here?” et voilà, ecco i DOGS D’AMOUR! Tyla imbraccia una E335 rossa, i capelli corti irti come spine, ed appare in ottima forma. Segue già un classico da urlo: “Last Bandit”, e a seguire sono pescate dall’ultimo disco “Rollover” e “Everdoright”. Il pubblico, in gran parte metallozzo, applaude educato ma rimane con l’espressione da pesce lesso, per la serie “fateli smettere, voglio Alice”… bah!

La band spacca di brutto, al basso non c’è, a differenza delle voci di corridoio, Steve James, bensì Share, ma l’ex Vixen non lo fa certo rimpiangere! Il vero eroe della serata, per quanto mi riguarda, è il suo maritino Bam Bam, che si conferma un vero animale di batterista, lo sguardo incazzoso e sfatto, batteria minimale e “bassa”, ogni colpo dato con stile e cattiva potenza, da panico!

Tyla rimane a torso nudo, il fisico asciutto segnato dalle famose cicatrici, e spacca un paio di volte le corde della sua E335, alternata a una Gretsch d’epoca davvero invidiabile! “Drunk like Me”, “Medicine Man”… tale è l’emozione che mi pervade che ora, a mente fredda, faccio fatica a ricordare tutti i titoli dei pezzi suonati, tanto ero rapito dal concerto! Il momento del commiato arriva troppo presto e la band ci saluta con “I Don’t Want You To Go”: impeccabili, immensi… non ci sono parole, solo il desiderio bruciante di rivederli al più presto come headliner.

I metallozzi escono dal loro scemo letargo e incominciano a fremere, adesso è il momento del nonno dello shock rock, ALICE COOPER! Un palazzetto ormai affollato accoglie le prime note dello Spettacolo (la maiuscola mica a caso!), splendido il palco “orientale”, e scusatemi se non vi descrivo nel dettaglio i pezzi dei recenti “Brutal Planet” e “Dragon Town”, ma li ignoro senza vergogna! I classici non tardano ad arrivare, e così “Hello Hooray”, “Elected”, “I’m Eighteen”, “No More Mr. Nice Guy” e “Billion Dollar Babies” titillano le nostre orecchie, seguiti da 80’s anthems come “Poison” e “Trash”… peccato per l’assenza dalla scaletta di “Hey Stoopid!”.

Alice appare in splendida forma, l’unico segno dell’età sembrano essere le braccia flaccide da vecchietto, ma a vederlo cantare e fare le sue mitiche smorfie c’è da giurare che abbia fatto anche lui il patto col diavolo! Il resto della band è costituito da gregari deluxe, alla batteria mi emoziono a riconoscere Eric Singer dei KISS, e il suo assolo da vecchia scuola è roba forte, mentre faccio fatica a riconoscere nel chitarrista che stava sulla sinistra Eric Dover, ex cantante degli SLASH’s SNAKEPIT, una vera sorpresa! Chi non faccio fatica a riconoscere invece è quello scimmione scemo che bazzicava sul palco dei GUNS N’ ROSES del periodo pre decadenza (per intenderci quello dei palchi immensi pieni zeppi di coriste, fiati, pianoforti… che schifo!), qui a tastiere e percussioni.

Ma qui non siamo solo a un concerto, ma a un vero e proprio connubio di musica e teatro, per cui i pezzi sono intervallati da godibilissimi intermezzi interpretati da un funambolici Alice Cooper e da una sexy e conturbante infermiera, memorabili le scene della ghigliottina, della macchina del tempo e del mostriciattolo nella carrozzina!

Dopo due ore buone di concerto giunge il momento di lasciare Brescia e fare ritorno a casa, con il cuore che ancora brucia… e madonna che freddo! Grazie ai DOGS e ad ALICE di averci regalato tale turbinio di emozioni, roba da lasciarti il sorriso per tutta la settimana… e un saluto a quei ragazzi che si sono sbattuti a venire in treno sin da Bari… this is rock’n’roll!
Simone Parato

Pix by Riccardo Modena

 

THE HELLACOPTERS
3 dicembre 2002 – Alcatrazz, Milano

Grazie a un traffico assassino e alla balzana idea di fare aprire il concerto proprio ai GAZA STRIPPERS (dico, mica dei novellini… ma è noto cosa può fare un video in rotazione su MTV per influenzare la scelta dei gruppi… same old $hit) ci perdiamo praticamente tutta la performance di Eric Sims (già dei SUPERSUCKERS, per chi lo ignorasse) e soci: davvero un peccato, perché anche se ho assistito solo all’ultimo pezzo della scaletta, sono rimasto molto colpito dalla pazza furia della band americana, molto più efficace dal vivo che su disco – devo ammettere che non amo tanto la particolare voce del cantante/chitarrista… immaginate un po’ i PORNO FOR PYROS che suonano rock’n’roll!

Tocca poi ai DATSUN, che fino all’appuntamento live non conoscevo assolutamente e dei quali ho un ricordo sfocato. Li avevano descritti come un incrocio tra i DEEP PURPLE e lo scan-rock, motivo per cui mi ero rassegnato a una puppa di concerto, ma devo dire che sono stato smentito da una performance elettrica e vecchio stile, con tanto di finale jam rumorista e distorto… peccato non ci siano più i musicisti (riccastri e strafatti) di una volta, che dopo tutto ‘sto casino gli strumenti li spaccavano a mazzate!

Nel locale ormai gremito l’aria incomincia a farsi carica d’attesa per gli HELLACOPTERS, e i buttafuori di questo “simpatico” locale incominciano a fare le bizze, rompendo le biglie alle prime file di spettatori… ma quando lo capiranno che non siamo a Tokyo, dove tutti sono carini e se ne stanno seduti educatamente sulle poltroncine!
Inizia il concerto e, dopo le prime e inevitabili spinte, la pit solidarizza nel mandare coralmente a quel paese i bovini paranazisti di cui sopra. Lo show di Nicke Royale & band non regala nessuna sorpresa, le mosse “chitarristiche” sono ormai proprie di un rodato copione e tutto il gruppo fa bene il proprio lavoro… intendiamoci, non che fosse una palla, ma mi ha fatto riflettere vedere che il pubblico ha risposto con cariche di adrenalina esclusivamente ai pezzi più vecchi (“You’re Nothin’”, “Soulseller”, “Gotta Get Some Action Now!”). I pezzi nuovi, comunque, fanno la loro bella figura, e qualcosa di buono (“Move Right Outta Here”) viene pescato anche da “Grande Rock”. Insomma, non smette di ronzarmi in testa l’idea che stavolta sia mancato qualcosa, ma Dio mi strafulmini se riesco a definire cosa… mah!
Simone Parato

 

HANOI ROCKS + Jany James
Transilvania Live Milano - 22 Novembre 2002

E’ uno di quei giorni che pensavamo di non vivere mai, uno di quei concerti che non avevamo la fortuna di aver visto, uno dei grandi rimpianti della giovinezza della maggior parte di noi, allora ancorati in un Paese che non e’ mai stato pronto per il rock’n’roll e troppo giovani per viaggiare. E quando l’avevamo archiviato, quando ci eravamo rassegnati a sentircelo raccontare da qualche amico piu’ fortunato, gli Hanoi Rocks decidono che e’ ora di tornare e ci regalano un gig memorabile, direi storico, “ribattezzando” la serata “Cathouse” che con loro inizia una serie di concerti di maggiori band straniere (tra cui prossimamente i Pretty Boy Floyd).
Le brutte notizie sono che Michael ha contratto una brutta influenza e Andy ha un problema al ginocchio e dovra’ suonare seduto, ma sono qui, sebbene in ritardo, mentre la folla si accalca davanti al Transilvania fremente nell’attesa: parliamo di oltre 700 persone, parliamo di rock’n’roll, parliamo di Milano, tre cose che difficilmente avrei pensato di poter mettere insieme.
Li ho gia’ visti a Londra quattro giorni prima, ed e’ uno di quei concerti che non ti stancheresti mai di vedere. Hanno suonato al Camden Palace, un grosso club ricavato da un ex teatro, un palco enorme dove Michael poteva fare salti e spaccate a ripetizione di fronte a oltre 1000 paganti estasiati e distruggere strumenti a calci, e dove ci hanno regalato il bonus di un secondo bis con “Miles Away”, lunghissima e intensa.

Aprire questo superconcerto tocca ad una celebrita’ rock nostrana, Jany James, che dopo tutto questo tempo riesco finalmente a vedere dal vivo: ottimo, e decisamente ben scelto per l’evento. Il mio parere da “inviata dall’estero” e’ ultrapositivo, massimi voti musicalmente e come presenza scenica. Meriterebbe ormai di fare il suo ingresso sulla scena internazionale; anche se non e’ facile essendo italiani, i numeri ci sono. Non posso non paragonare questi ragazzi ai Quireboys, un po’ per la cover di “Sex Party”, un po’ perche’ musica e attitudine sono decisamente simili, un po’ perche’ so che Jany ne sara’ ben felice! Diversamente da tante altre support band che ho visto, questa suona di fronte ad una sala gia’ piena per almeno tre quarti e il pubblico e’ tutto con loro. In bocca al lupo ragazzi, e spero di vedervi presto tra le nebbie londinesi...

E finalmente tutto e’ pronto, finalmente la storia del rock sta per scrivere un altro capitolo in quel di Milano. Tutti al bar per l’ultimo drink prima di accalcarsi per assistere al ritorno, e alla prima volta in Italia, degli Hanoi Rocks. Hanoi Rocks... Il nome mi fa eco nella testa, ancora non riesco a crederci. Ma e’ cosi. Axl muore, lui rinasce, signori, accogliamo su questo palcoscenico mister Michael Monroe con l’inseparabile Andy McCoy e i loro nuovi compagni d’avventura, ed e’ rock’n’roll!
Cappello rosso bordato leopardo, una boa di piume rosse intorno al collo e una nera che pende dal microfono, i grandi occhi chiari che schizzano fuori dell’eye-liner, e quelle inconfondibili labbra, Michael e’ sempre quello, anzi no, forse alcuni migliorano davvero con la vecchiaia come una bottiglia di vino DOC. C’e’ quel qualcosa che il suo corpo sprigiona, qualcosa che esce fuori dai suoi occhi e dalle sue corde vocali che entra dentro di te e ti porta in giro a cavallo di una nota... Ti fa sentir bene, felice perche’ esiste la musica (non tutta eh? Cari Linkin Park e il mio solito Limp Bizkit...), che puo’ accendere il sole in una giornata fredda e farti addormentare in una notte troppo buia, che puo’ esaltare un momento di gioia cosi tanto da farti esplodere il cuore. Musica. Finalmente.
Andy e’ effettivamente bloccato su uno sgabello, allora Michael gli si avvicina in continuazione, gli si affianca, canta con lui, gli unici due rimasti dell’avventura originale che un ubriacone (non facciamo nomi, inizia per Vince e finisce per Neil!!) spezzo’ 18 anni fa.

La band presenta il nuovo singolo dall’album imminente, si chiama “People like me”, “gente come me”: ce ne vorrebbe tanta nel triste panorama rock dell’ultimo decennio! State tranquilli e gioite, il pezzo e’ un classico Hanoi rock’n’roll, non e’ successo niente, Eminem era solo un incubo. Per il resto, la maggior parte del set e’ tratto dall’indimenticabile “Two steps from the move”. I miei pezzi preferiti, e secondo mio personale “urlometro” preferiti del pubblico, sono stati: “Don’t you ever leave me”, profonda, vibrante nella sua semplicita’, romantica senza essere smielata; “Boulevard of broken dreams”, bella, divertente e ballabile; “Until I get you”, dedicata credo alla moglie morta non molto tempo fa; e infine “Tragedy”... Si, si, so cosa state pensando, pazienti, non e’ ancora ora per quella li!

Tra salti, spaccate, cambi di costume e sassofoni spaccati, stiamo purtroppo giungendo alla fine senza rendercene conto. Un’ora e un quarto e’ passata come un treno, un treno carico di melodia ed emozioni. Gli Hanoi Rocks salutano il pubblico italiano (piu’ alcuni arrivati apposta da altri paesi europei) visibilmente soddisfatti dell’affluenza e dell’accoglienza entusiastica. Se ne vanno. E noi, ovviamente, li richiamiamo. Tornano. Ecco, adesso e’ ora per quella che tutti stavate aspettando!
“Up around the bend” ci da’ l’ultima irresistibile scossa di adrenalina, oltre settecento persone ballano, sorridono, gridano, applaudono la rinascita di una band rimpianta per anni anche da chi non l’ha mai conosciuta. Giovani e meno giovani si uniscono nell’atto finale di questa celebrazione, e se non capite l’assoluta grandiosita’ di un momento del genere e’ perche’ non c’eravate e avete tutta la mia comprensione e compassione. E non cercate di rifarvi con i Puddle Of Mudd, non funziona!

E ora ci lasciano per davvero, con un’enorme carica di energia positiva, sudore e sorrisi, e una melodia felice nelle orecchie e nel cuore. Incorniciate il biglietto, non dimenticate e raccontatelo ai vostri figli, quando verra’ il triste giorno in cui vi chiederanno un cd di Gareth Gates. E andate in giro a testa alta. Stavolta potete finalmente dire “io c’ero”.
Cristina Massei


Pix > Cristina - Kia - Marty - More...

 

MURDERDOLLS + ANTIPRODUCT
The Garage, London – Venerdi 13 (!) Settembre 2002

Il Garage prova ancora una volta la sua inadeguatezza per grandi eventi come questo, sia per problemi di aria condizionata sia per lo staff poco professionale e tantomeno simpatico. Comunque sia, ne valeva la pena.
La prima curiosita’ e’: che pubblico sara’, quello metallaro pesante di Slipknot o vecchi fans dei Motley Crue che ancora una volta sperano sia arrivato il momento di uscire dalla tomba? La lunghissima fila che trovo fuori del locale, sold-out con largo anticipo, e’ una sorpresa. Per lo piu' studenti, teenagers colorati e truccati, tra il goth e questa nuova ondata cosiddetta “glam” di cui qui sono portabandiera i Rachel Stamp, lo stesso pubblico che si trova ai Bowling 4 Soup o i Sum 41... Che confusione!
Fortunatamente piu’ tardi arrivano i soliti sospetti della rock scene londinese, quelli che hanno un lavoro e una vita e non possono stare in fila alle 6 del pomeriggio di venerdi, si scambiano due chiacchiere, e via con gli Antiproduct.

I pezzi nuovi sembrano piu’ duri dei vecchi ma la vena punk-rockeggiante della band di Alex Kane e’ tutt’altro che esaurita, e il pubblico e’ tutto con loro. Annotiamo il rimpiazzamento dell’ex bassista Toshi con l’ottima Marina, eh si, un’italiana, quando si parla di pazzi il nostro contributo e' essenziale! Il momento piu’ caldo rimane comunque “Bungeejumping people die”, insieme alle proverbiali testate al microfono di Alex, e ci piace molto anche “Arms around the world” stasera, con ottima reazione della folla gia’ sudata marcia.
E l’apice e’ il “rant” politico dell’anticonformista frontman che finalmente, a distanza di un anno, ci da’ occasione di gridare tutti insieme “Fuck George Bush”! Ma si, diciamocelo, tutti siamo con gli americani ma quando e’ troppo e’ troppo. E’ un anno che vedo concerti con la bandiera a stelle e strisce sullo sfondo e tonnellate di patriottismo spicciolo, un anno che invece di rendersi conto dell’umana vulnerabilita’ mi propinano queste dichiarazioni di forza, frutto del lavaggio del cervello di un co***one che crede che governare un Paese significhi solo bombardare qua e la’, liberalizzare le armi e proibire l’aborto. Scusate lo sfogo, questo e’ il frutto di sei mesi negli States... Fuck George Bush!

E' quasi giunta l’ora dei Murderdolls. L’"adorabile" staff del Garage caccia me e il tipo di NME dall’area normalmente riservata ai fotografi dicendo che e’ per la security. Dunque, qual’e’ il punto nell’avere un photo pass? Boh, andiamo backstage a chiedere. Mentre un tipo della crew sta cercando invano di risolvere con gli scagnozzi del locale, arriva lui, Joey Jordison, colui che ha messo momentaneamente nel cassetto nientemeno che Slipknot per celebrare personaggi del calibro di Alice Cooper e Motley Crue: “tu e tu, potete stare sidestage per le foto, nessun altro”. Joey e tutti i ragazzi dei Murderdolls sembrano tipi davvero simpatici e alla mano, soprattutto si vede che si stanno divertendo un mondo.
Comunque, si sta troppo stretti sul lato del palco e c’e’ una del Garage che mi sta esaurendo; lascio quindi l’area backstage, e le foto che vedrete sono prese dalle spalle forti della mia amica Vik, che ringrazio sentitamente. Non sono grandi foto ma sono eroiche, credetemi, visto che il pubblico ora sembra davvero quello di Slipknot, malgrado le apparenze iniziali, e il sudore continua a scendermi sulla faccia pur stando ferma...
Ed ecco a voi la prova vivente che anche dietro le maschere di Slipknot si possono nascondere dei musicisti, signori, signore e teenagers: i Murderdolls!

Let’s go to War, canta Wednesday 13, e guerra sia. L’energia e’ straordinaria, sconfigge il sudore, i pensieri, i problemi, per quasi un’ora e mezza e’ puro divertimento, e chi non e’ qui per ballare e gridare, fuori dalla mia strada. Riflettori puntati su Joey Jordison, ma Tipp Edren (Static X), Eric Griffin (mini-Nikki Sixx!), Ben Graves e l’eccentrico "horror vocalist" non sono da meno. La ciliegina sulla torta e’ la data, Venerdi 13, come il film che ispira molti dei testi di “Beyond the Valley of the Murderdolls”, che sembra dare alla band un’ulteriore carica di adrenalina. Ogni pezzo e' trascinante, esplosivo. Alcuni hanno un po' della violenza di Slipknot, mescolata pero' a quella carica sessuale e quella rabbia di Crue e GnR quando ancora avevano le tasche vuote, ricordate? Colore, chitarre e humour nero al ritmo di “Love at first fright” e “Graverobbing USA”, due dei pezzi piu’ eighties (i critici seri direbbero "cheesy") dell’album, e una certa "Livewire" riecheggia al suono di “Slit my wrists”.
Non c’e’ un momento fiacco, non un singolo black out in questo gig memorabile, un autentico risveglio dei morti viventi del solito caro Sunset Strip; noi vecchietti pensiamo a un concerto tutto esaurito al Whisky a GoGo con cui questi ragazzi si sono presentati a Hollywood, e ci mangiamo le mani ancora una volta come quasi 20 anni fa per non esserci stati. Preghiamo in cuor nostro che Slipknot si sciolga come tante altre blasonate rock bands per un Joey Jordison "bambola assassina" full-time.
E indovina un po’, il bis e’ il primo significativo singolo “Dead in Hollywood”... Per questa sera e’ finita, speriamo sia solo l’inizio.
I Murderdolls ringraziano gli Antiproduct, noi ringraziamo i Murderdolls, mentre giunge notizia che i nostri eroi supporteranno Papa Roach nel prossimo tour europeo. Buona o cattiva notizia? Boh. Da una parte significa che il rock’n’roll puo’ ancora vendere, da una parte sembra che i promoter si fidino ancora poco e abbiano bisogno di metterli di contorno a uno dei soliti registratori di cassa. Chissa', forse un giorno Papa Roach supportera’ i Murderdolls per vendere! Spero, per allora, di non essere troppo vecchia per festeggiare...
Cristina Massei


 
ZZ TOP +Treves-Bonfanti-Gariazzo
PALA - Milano - 27 ottobre 2002

Cominciamo parlando dei supporters: il re del blues italiano, mr. Fabio Treves, si è esibito in un'insolita versione, insieme al suo bravo chitarrista Alessandro "Kid" Gariazzo e all'altrettanto bravo Paolo Bonfanti, re dello slide nativo di Genova. Un trio che in teoria dovrebbe essere acustico ma che in realtà è elettrico visto che i chitarristi hanno usato quasi sempre le elettriche.
Il concerto è stato ottimo, la classe dei tre è nota a tutti quelli che seguono il blues, e tra classici di Muddy Waters e compagnia ci hanno traghettato (sul Mississippi?) con estremo piacere al concerto dei nostri idoli.

Passiamo ora all'evento.
Costava 32 euro, è vero. Ma uno spettacolo così non lo vedrete da nessun altro gruppo.
Quello del 27 ottobre è stato un concerto di quelli memorabili, che si ricordano fino alla fine dei propri giorni e che si raccontano ai nipoti.
Non ho mai visto un gruppo scenograficamente così spettacolare come i ZZ Top. Si potrebbe obiettare che i Kiss hanno sicuramente delle scenografie stratosferiche, da colossal di Spielberg, ma la quantità non fa la qualità. Intendiamoci, i concerti dei Kiss sono i più spettacolari che esistano, ma il 27 al Pala sembrava di vivere in un sogno. Quei tre sul palco non sembravano tre uomini ma tre dèi, o tre alieni!
Con le loro barbone, tranquilli e posati come asceti buddisti, tra coreografie minimali (ogni tanto delle mossettine perfettamente sincronizzate tra Billy Gibbons e Dusty Hill), ci svisceravano tutta la loro classe.

Sicuramente avevano una scenografia costata un decimo di quelle dei gruppi stramiliardari, eppure era la cosa più fantastica che abbia mai visto insieme ai fuochi alti metri dei Kiss. Dietro di loro il muro era completamente coperto da delle lunghissime frange argentate, che riflettevano le luci in un modo da far sembrare il concerto uno spettacolo su Marte più che sulla Terra, un effetto che inondava completamente il palco di un alone di luce quasi soprannaturale! Il neon verde attorno alla grancassa. Le numerosissime luci perfettamente sincronizzate con ogni minimo andamento ritmico delle canzoni. I tecnici audio e luci probabilmente fra i più bravi del mondo. Le rullate dei tom che partono dai diffusori di destra a quelli di sinistra in sincronia con le luci dando l'impressione di sentire/vedere una rullata direttamente dentro la testa...
Non si può spiegare una magia finché non vi si assiste, perciò smetterò di cercare di spiegarla e mi limiterò a consigliarvi caldamente di presenziare al prossimo loro concerto, a costo di indebitarvi!

Passo ora al lato puramente musicale. Il set delle canzoni era strutturato principalmente sui loro classici degli anni '70 e degli anni '80, concedendo poco alle ultime uscite, a mio avviso comunque molto valide, anche se di ascolto meno immediato rispetto al resto della loro produzione.
Fra i vari pezzi eseguiti c'erano gli ottantiani "I Thank You" dall'album "Deguello", Sharp Dressed Man (da "Eliminator"), ma anche "Just Got Paid" (da "Rio Grande Mud"), uno dei miei pezzi preferiti della loro produzione settantiana, con quel riff chitarra/basso e quell'incedere blues da ascoltare su un pick up impolverato lungo le strade del Texas!
Avanti ancora con classici degli anni '70 con "Beer Drinkers and Hell Raisers" (da "Tres Hombres", datato '73), la mia canzone preferita in assoluto (non per niente noi KickStart la usiamo sempre come apertura dei nostri concerti!); e poi ancora altri pezzi sempre da "Tres Hombres", il loro album di maggior successo assieme a "Eliminator", come la stupendamente cadenzata "Waiting for the Bus", che poi è sfociata di colpo nel lamentoso bluesettone "Jesus Just Left Chicago", esattamente come nell'album in studio, stupendo positivamente gli astanti: hanno avuto esattamente quello che si aspettavano, visto che probabilmente tutti i presenti conoscevano a memoria il brusco passaggio da una canzone all'altra!
Ancora anni settanta con "Mexican Blackbird" (da "Fandango"), conclusa con uno sproloquio di Billy Gibbons in spagnolo... Avanti poi con qualche pezzo degli anni '80 come "Got Me Under Pressure" e la famosa "Gimme All Your Lovin'" (che ha scatenato ancora di più l'esaltazione del pubblico), entrambe da "Eliminator", e anche la divertente "Cheap Sunglasses" da "Deguello".
Tra i pochissimi pezzi recenti da segnalare la bella "Bang Bang", dal penultimo "Rhythmeen" del '96.
Dopo essersi esibiti anche con i loro leggendari strumenti ricoperti di pelliccia bianca i tre escono di scena per tornare dopo poco per i bis: naturalmente "La Grange" (da "Tres Hombres"), indubbiamente la loro canzone più famosa nonché uno degli inni di qualsiasi biker! Talmente popolare da essere stata inserita anche nella colonna sonora di "Armageddon". A questo punto la folla è davvero in delirio, e accoglie calorosamente anche l'ultima bellissima e blueseggiante "Tush" (da "Fandango") cantata da un Dusty Hill che forse non ha più l'estensione di allora ma che ha maturato un timbro caldo e roco perfetto per il groove blues dei pezzi cantati da lui.
Dopo questa canzone i tre fanno inchinare i loro strumenti e se ne vanno con calma e senza salutare, da nobili del rock quali sono.

Questi tre sono dei maghi, dei veri maestri del blues! Solo loro sono stati capaci di fare dei pezzi elettronici con la chitarra blues come negli anni '80 e fare successo con questa formula che a chiunque sarebbe apparsa ridicola, e che invece loro hanno usato per scrivere grandi pezzi!
La loro classe, scusate il gioco di parole, è da primi della classe. Solo Billy Gibbons è capace di ciccare metà delle note di un solo e non perdere un centesimo di carisma: lui se lo può permettere! Solo lui si può permettere di accennare qualche nota di un assolo e fermarsi ad ascoltare le grida del pubblico e tamburellare le dita sul mento come per decidere se andare avanti o no... solo lui può fare dei soli "di silenzio", dove le pause assumono un'espressività estrema, come solo uno dei migliori chitarristi blues può fare!
Solo loro possono permettersi di fare ridicoli ballettini con le mani o muovendo solo le ginocchia e risultare fantastici!

In definitiva nessuno al mondo può eguagliare i ZZ Top. Nessuno è tamarro quanto loro (basta vedere le loro giacche eleganti tempestate di lustrini colorati e gli occhiali da sole indossati per tutto il concerto), nessuno è coraggioso quanto loro (sia per quanto riguarda scelte stilistiche come l'elettronica nel blues, o anche solo le loro ventennali babone!), nessuno suona come i ZZ Top!

Uno spettacolo memorabile a cui tutti dovrebbero assistere almeno una volta nella vita per poter dire come me "io c'ero!".
Joe Salty

 
JOE LYNN TURNER/GLEN HUGHESS
21 Settembre - Ancona Barfly

Avevamo lasciato J.L.Turner poco più di un anno fa, quando aveva promesso proprio ai “microfoni” di Slam una tournee italiana insieme al suo amico Glen Hughes. Ebbene la promessa è stata mantenuta!
La venue scelta per l'evento è il Barfly di Ancona dove prima dei “Fab Two” si sono esibite due supporting bands, in ordine i giapponesi Blind Faith di Kelly Simon impegnati a clonare in maniera davvero comica ed amatoriale quanto proposto da Yngwie Malmsteen e i tedeschi Domain fautori di un hard rock melodico tra Bonfire e primi Bon Jovi, che devo dire mi hanno riportato
indietro nel tempo di una quindicina d'anni.

Niente comunque in confronto all'esibizione offertaci da Hughes e Turner, che si presentano sul palco in perfetto orario accompagnati da un'ovazione da delirio del pubblico sulle note di “Can't stop Rock'n roll”.
Glen Hughes, col suo basso a tracolla, nonostante l'età dimostra di avere un'energia fuori dal comune mentre Joe, con qualche chiletto di tropppo devo dire, si dimostra sempre come quel rocker un po' poser che tutti abbiamo ammirato nel video di Live in Leningrad di Malmsteen.

Il repertorio proposto spazia dalle rispettive collaborazioni con Deep Purple, Rainbow ed esperienze soliste non dimenticando il loro ultimo lavoro sotto il nome di “Hughes/Turner Project”.
Come c'era da spettarselo Glen è stato quello che ha raccolto maggiori consensi, soprattutto dopo l'esecuzione di una Mistreaded” da pelle d'oca, anche se personalmente sono rimasto letteralmente ipnotizzato durante “Seventh Star”, tratta dalla collaborazione di Glen con Tony Iommi, che con il suo incedere sulfureo sembrava di assistere ad un rito mistico di massa.
Anche Joe dal canto suo non si è risparmiato ed è stato accolto in maniera trionfante quando ha riproposto “I surrender” dei Rainbow e la bellissima “Kings of dream”, vera perla dell'AOR contenuta in “Slaves and Masters” dei Purple.
Il bis è stato stranamente affidato ad “Highwaystar” mentre, sebbene presente in scaletta, è stata omessa “Burn”...
Che dire... IMMENSI!
Umberto Sartini

 
JANY JAMES
Castellina M.ma (PI) - 15/08/2002

E' da qualche giorno che provo a buttar giù mentalmente la recensione del concerto di J.J., ma ogni volta mi accorgo che ho dimenticato qualche particolare. Ci provo...

Arriviamo sul posto intorno alle 21.00 con tutta la truppa di vacanzieri. Il paesino è sperduto tra le colline Toscane vicino a Pisa dove ogni anno si tiene una manifestazione chiamata "Musica W" tra bancarelle di ogni tipo e un bellissimo anfiteatro con un palco davvero notevole e un'acustica eccellente.
Il tempo di una cena a base di specialità del posto ed ecco che arriva finalmente il turno del gruppo di Parma.

Dopo l'intro di "Hello There" dei Cheap Trick arriva la roboante "Lit Up" dei BuckCherry e si capisce subito che la band è in palla. Sotto al palco, oltre a me e "PiUiTZ", incominciano ad arrivare ragazzi attratti dalla carica e dall'energia propagata dall'amplificatori.
Lo show prosegue con l'azzeccatissima "Dynamite" di Rod Stewart e con altre cover proposte dal gruppo come "Tush" (ZZ Top), "It's Alright" (Quireboys), "Come Together" (Beatles), "Evil Twin" (D:A:D:), "Kickin' My Heart Around" (Black Crowes), "Dead Flowers" (Rolling Stones), ecc.

Ovviamente non mancano le canzoni tratte da "Rock N Roll Bandit" ed ecco "RockNRoll Star", "Bye Bye Policeman", "Do You Wanna Listen", "Boardwalk Angel", "Outlaw", ma soprattutto devo segnalare "No Time For Losers" con l'intro di "Comin' Home" dei Cinderella (ma quand'è che la fai per intero?!) e due nuove tracce: "Girl Of My Life" e la selvaggia "Fuck!".
Nel frattempo si è riempito di gente. I ragazzi sono in delirio e osannano la band, qualcuno sale sul palco in cerca di uno stage diving e poi non mancano i piccoli siparietti che vedono Jany e il solito Robby "Guru" Siganakis come protagosti.

Lollo Baz dietro alle pelli pesta che è un piacere, Matt e JJ sanno come usare i loro strumenti e danno al gruppo quel suono fresco e bluesy tipico del gruppo. Oltre alle alle già citate cover, il five-pieces emiliano ci ha omaggiato anche di altri pezzi da capogiro come le classicissime "R'n'R" dei Led Zeppelin e "Born To Be Wild" degli Steppenwolf, l'immancabile "Sex Party" (Quireboys) dove Jany duetta con il pubblico e la smuovisassi "Golden Age R'N'R" dei Mott The Hoople.

Per rivirere quella serata e le sensazioni provate durante lo show non credo bastino una ventina di righe, perchè credo di essermi trovato di fronte a uno dei più bei concerti a cui ho assistito in questo 2002. Vedere per credere!
Moreno Lissoni

 
IGGY POP
PARCO DI MONTE CLARO - CAGLIARI, 31 LUGLIO 2002

E’ stato semplice, anche dopo 220 km, arrivare al Parco di Monte Claro, e’ bastato seguire un’enorme folla di persone che, come i vecchi zombie di un vecchio film di Romero, anche se molto piu’ vitali, si dirigevano tutte nella stessa direzione, alla ricerca della stessa cosa: lui, Iggy, e tutto cio’ che puo’ provocare.
Una folla eterogenea, ma unita, nella volonta’ di scatenarsi ai ritmi taglianti di quello che non e’ un cinquantenne qualunque, e unita soprattutto nel momento in cui i cancelli sono ancora serrati, e non si sa ancora se il concerto si fara’ o no. Unita e inferocita, questa folla, quando ancora alle 22 si attende un ok dal sindaco che non arriva. Almeno cosi’ e’ quello che sento dire da chi e’ arrivato prima. Alla fine i cancelli si aprono, e non poteva che essere cosi’, nonostante le proteste, e il prato verde del Parco inizia a fremere e tremare, alle prime note, quelle di “Mask”, mentre orde di fan sono ancora in fila per i biglietti.

Esplode la platea, al suono furioso dei brani del nuovo album, “Beat’em up”mentre i vecchi punk (sono tantissimi) aspettano i pezzi storici, quelli degli Stooges, e si scatenano assieme ai piu’ giovani quando dagli ampli escono le note di “I wanna be your dog”, “Search and destroy”, “Wild one” e “No fun”, e un Iggy che sembra sempre quello di trent’anni fa si dimena violentemente sul palco. Solo un paio di jeans a vita bassissima, e un’energia incontrollabile e selvaggiache si trasmette a tutti i presenti. Non si puo’ stare semplicemente fermi ad ascoltare, e al momento di “The passenger” riesco a intrufolarmi in prima fila, sotto il palco, dove scatto delle foto e sento una ragazzina sussurrare alla sua amica:” La sigla di Tempi moderni…” *LOL*

"The passenger" se la ballano anche sui balconi dei palazzi che circondano il parco, proprio da dove e’ partita tutta la protesta. L’Iguana sa tutto, e si ferma addirittura per scusarsi dei problemi e dei ritardi, e per ringraziarci tutti. Ma e’ solo un minuto, poi si riprende a ritmo indiavolato.
Un paio di bis, “Raw Power” e “I wanna be your dog”e poi, dopo un’ora e mezza ( o un’ora, per chi come me all’inizio era ancora in fila!) Iggy scende dal palco, sono le 23.30, e sa che oltre non si puo’ andare.
Nessuno vuole rassegnarsi, ma stavolta e’ finito davvero: parte un pezzo, qualcosa che non ricordo e che nessuno ascolta: abbiamo ancora tutti nelle orecchie il suono graffiante della voce di Iggy, mentre i roadie si danno daffare sul palco e l’Iguana sparisce con la sua donna, che lo attendeva dietro il palco, andando a nascondersi in un backstage inavvicinabile.
Glammie

 
AMERICAN HEARTBREAK +THE MANGES
17 luglio, Indian’s Saloon (MI)

Niente poteva fermarci! Nonostante una serie impressionante di maledizioni da parte di una zingarella (I hope you’r dead!), tre giorni randagi passati sulla strada e 16 (!) ore di pulman da Praga (one more Pivo please!) io e la mia glamgirl siamo riusciti a rivedere gli AMERICAN HEARTBREAK, grazie anche al provvidenziale passaggio offertoci da Mr Moreno, piombato con il suo hot rod a raccogliere i nostri resti (e bagagli).
All’Indian Saloon è ormai come essere a casa, così, tra una birra e una pizza, si salutano tutte le vecchie conoscenze, compreso Billy, che mi sorprende ancora per la sua cordialità e simpatia, mentre Butler, un po’ timido, si aggira presso la bancarella del merchandising.

Di supporto ci sono i MANGES da Las Pezia (correte a leggere la recensione del loro ultimo disco!), che subito scaldano l’ambiente con il loro punk rock. Sarà che ho una insana passione per il rockabilly ma mi prendo subito bene a vedere chili di hair grease e basettoni, mentre da parte loro Andrea e soci suonano schegge velocissime di ottimo rock’n’roll, sorretto da una bella sezione ritmica.

Tocca dunque agli AMERICAN HEARTBREAK, orfani di Adam, rimpiazzato alla seconda chitarra da Casey. Butler sfoggia un bellissimo firebird nero con tanto di croci di malta argentate come segnatasti, mentre Billy imbraccia una E-335 color panna e spara a raffica i riff che sono ormai il marchio inconfondibile del gruppo americano. Il primo disco (“What You Deserve”) è completamente ignorato nella scaletta di oggi, ma come spiega Butler ciò è dovuto al recente ingresso di Casey nella All-Star-soiled band. Da “Postcards From Hell” sono pescate l’hit "Superstar" (la cui intro è cantata dall’ex bassista degli EXODUS), “I Wish You Were (D.E.A.D), “Brain Vacation” e “Seven Time Loser”, mentre completano la bill alcuni dei pezzi che andranno a finire sul prossimo, imminente disco previsto per fine anno. Lo show è energico e coinvolgente, mi è bastato uno sguardo al pubblico per vedere come tutti fossero davvero coinvolti a cantare i pezzi e fare casino. Pubblico invero non troppo numeroso... ragazzi, se per alzare il culo aspettate che vengano i PRETTY BOY FLOYD stiamo proprio freschi!!!

Giunge l’ora dei saluti, e noi finiamo la serata con Mr Piviz al Wizard a bere l’ennesima birra, il che ci risparmia un paio di ore d’attesa in stazione... l’ultimo ricordo che ho, prima di crollare addormentato, è un vecchietto in ciabatte che ci gironzala attorno curioso... credo mi avesse scambiato per un Metadone Baby!

weird words by Simo Gipsy
smart pics by Kiara aka Glammie

SETLIST:
1. Off my Head
2. Long Live Rock ‘n’ Roll (Rainbow)
3. Damned Clockstrokes (you’d better get off)
4. Speed King (Deep Purple)
5. Wheels of Steel (Saxon)
6. R.A.W. Suite
7. Drum solo
8. Thunderstruck (AC/DC)
9. Party in Simon’s Pants (Steve Lukather)
10. Orangut-Angus
11. Wine Spirit
12. Wasted Sunsets (Deep Purple)
13. Guitar solo
14. Sailing Ships (Whitesnake)
15. Tail Gunner
16. Bass solo
17. Short Hair Rocker
18. Proud to be Loud
19. Highway to Hell (AC/DC)

 
WINE SPIRIT
HARLEY CAFE’ – Capolago (VA) – 19 luglio 2002

Ecco l’ennesimo concerto dei Wine Spirit in zona Varese/Como! I nostri WS iniziano il concerto dopo la mezzanotte e a noi va benissimo perché siamo rimasti imbottigliati in tangenziale per circa un’ora… pensavo che mi sarei perso metà concerto e invece arrivo che non hanno ancora iniziato: che sollievo!
Quando finalmente i tre arrivano sul palco la folla li acclama! In fin dei conti in questa zona i Wine Spirit sono delle vere e proprie rock star, ed è inutile dire che si meriterebbero un trattamento simile in tutto il mondo! Purtroppo però la loro musica è troppo bella, intelligente, potente e grezza per essere “trendy”… dico questo anche perché io coi miei KickStart suono un genere molto simile e la fatica che facciamo ad affermarci è 10 volte tanto rispetto a un gruppo di rock italiano o di ska…

Lasciamo da parte le questioni personali e dedichiamoci a questa recensione!

Partenza con l’acceleratore a tavoletta: “Off my Head”, primo pezzo del loro primo album “Bombs Away” (da avere assolutamente: aiutiamo la scena rock’n’roll italiana! E poi è bellissimo!). E’ un pezzo pieno di energia, con un ritmo e un cantato vicino ai Motorhead… non per niente prima che i Wine Spirit iniziassero il concerto il dj del’Harley Café ci ha fatto sentire i Motorhead! Comunque in questo pezzo CC Nail (batteria) ci fa capire che i suoi piedini sono in ottima forma!

Finita questa El Guapo (basso/voce) saluta la folta platea e dedica la canzone seguente agli amanti del Rock ‘n’ Roll: ecco infatti “Long Live Rock ’n’ Roll”, dei grandi Rainbow. In questo pezzo già Il Conte (chitarra/voce) ci fa sentire di che pasta è fatto: oltre ad essere un virtuoso della chitarra ha anche un’ugola d’oro!

Ecco che si torna al repertorio originale della band: “Damned Clockstrokes (you’d better get off)” è la mia canzone preferita dei WS, anche se mi esalto di più quando la sento dal vivo, rispetto a canzoni come “Voyager” o “Tailgunner” che ho apprezzato maggiormente quando le ho sentite sul disco. Questa “Damned Clockstrokes” è un potente mid-tempo con una tastiera fare da tappeto, una canzone piena allo stesso tempo di potenza e di drammaticità, e un irresistibile ritornello da cantare con un coro da stadio: “YOU’D BETTER GET OFF!!!”… come avrete capito in quell’occasione mi sono un po’ sbracato urlando il ritornello e agitando in aria il pugno!

E’ adesso l’ora di “Speed King” (dei Deep Purple, naturalmente!), rifatta magistralmente, con l’assolo dell’hammond eseguito da Il Conte in modo impeccabile e inframmezzata da un (fin troppo) lungo botta e risposta tra Il Conte e El Guapo… in fondo fa molto seventies!
Facciamo ora posto a una divertente quanto eloquente nel titolo “Wheels of Steel” dei Saxon… questi tre hanno capito come si vive!

E’ ora tempo di “R.A.W. Suite”, pezzo originale. E’ una canzone meno immediata rispetto alle altre ma non per questo meno bella: lunga, complessa, lievemente prog (mi ricorda a tratti gli Extreme più duri) e piena di stacchi, riff diversi eccetera. Forse più da ascoltare con attenzione che da pogare... ma poco male! Attaccata a questa poi ecco che CC Nail spacca tutto con un assolo di batteria spaccaossa! Una vera macchina da guerra!

Si riprende però subito a esaltarsi con una aggressiva “Thunderstruck” degli AC/DC, canzone che la platea non gradisce, di più!!! Esplode letteralmente quando Il Conte inizia a suonare il riff! Fra l’altro ho sempre pensato che non esiste persona sulla terra in grado di cantare decentemente le canzoni di Brian Johnson, e Il Conte mi ha smentito, cantandola bene, senza però stravolgere il timbro della propria voce.

Si passa poi di nuovo a un episodio meno immediato: Il Conte annuncia che per riposare un po’ le ugole si cimenteranno in uno strumentale, ed ecco “Party in Simon’s Pants” del grande Steve Lukather (già chitarrista dei Toto). Un riffone micidiale in un tempo dispari che sorregge tutto il pezzo, veramente una scelta ottima!

Il Conte poi dice che omaggeranno uno dei loro maggiori idoli: Angus Young, con la loro “Orangut-Angus”… bellissima canzone a mio avviso che però di AC/DC ha solo il riff iniziale, mentre il cantato e le altre parti ricordano forse di più i Judas Priest di “British Steel”… pezzo comunque bellissimo!

Ecco che si raggiunge ora uno degli apici della bella serata: i nostri amici eseguono la loro “Wine Spirit”, che se fossero americani e fossimo negli anni ’80 la sentireste in Heavy Rotation alla radio e su MTV… un potenziale singolo molto bello e che soprattutto tutti i ragazzi presenti hanno cantato a squarciagola! Ve l’ho detto che da queste parti sono delle vere e proprie rock star!

Qualche mese fa, dopo un concerto al Vox club di Arluno, dissi a Il Conte che mi sarebbe piaciuto sentire dal vivo “Freedom” e “Wasted Sunsets” dei Deep Purple, che sono presenti sul disco ma che non gli ho mai sentito interpretare su un palco. La cosa mi dispiaceva non poco perché sono veramente due episodi che rendono il loro album ancora più bello. In “Freedom” la capacità compositiva dei tre di Milano salta subito all’occhio mentre in Wasted Sunsets Il Conte si lancia in una performance vocale incredibile, con un cantato pulito intenso e passionale degno di Coverdale (anche se l’originale è cantata da Ian Gillan)! Quando lo dissi a Il Conte lui mi rispose di non preoccuparmi che avevano in programma di fare anche quelle dal vivo. Eccomi allora parzialmente accontentato, perché è arrivata l’ora di “Wasted Sunsets”, e non posso che essere contento!

Ora Il Conte viene lasciato solo sul palco: lascia giù la sua elettrica per prendere la classica elettrificata. Inizia il suo solito assolo mozzafiato, infarcito di flamenco, musica classica, citazioni dei Queen, mentre a gesti cerca di far capire al fonico di creare atmosfera con le luci… credo che l’unico in quel locale a non aver capito i gesti de Il Conte fosse proprio il fonico… comunque sia l’assolo alla classica de Il Conte è nello stesso momento pieno di tecnica e di feeling, che ammaliano come al solito il pubblico. Senza fermarsi Il Conte comincia l’arpeggio della bellissima “Sailing Ships” dei Whitesnake, pezzo imprescindibile dalla loro scaletta, e a ragione, perché soprattutto la prima parte, con un arpeggio acustico e un’armonizzazione delle due voci nel ritornello (“Take me with you, take me far awaaaayyyy”… mamma mia bella canzone!) è uno dei momenti più intensi dei loro concerti!

Dopo questa digressione, passionale come solo le canzoni di Coverdale sanno essere, El Guapo prende la parola: “Prima parlavo con un amico che mi diceva di gradire particolarmente ‘Tail Gunner’, perciò la dedichiamo a lui!”. L’amico poi si rivela essere un punk, che sulle note della motorheadiana canzone in questione, si agita non poco! Insomma, fa piacere vedere anche gente che normalmente non ascolta questo genere esaltarsi e divertirsi così! Ad un certo punto ho perfino visto nel cortile esterno del locale una coppia “per bene” e di una certa età mettersi a ballare come se stessero ascoltando una polka! Bene! Ognuno è libero di divertirsi come meglio crede, se la musica è quella giusta! Senza lasciar rifiatare i nostri timpani ecco che El Guapo ci stupisce col miglior assolo che gli abbia mai visto fare… inizia con un consueto divertissement con un “Octave” a sdoppiare il suono del basso che ha in questo modo un sapore veramente forte! Poi prosegue con “Bass-tard”, il piccolo strumentale che i WS hanno inserito nel loro album. Il pezzo in tapping, magistralmente eseguito, lascia poi il posto a una lunga digressione in slap… El Guapo ci fa vedere di tutto e strappa sincerissimi applausi! Credo di non aver mai visto i Wine Spirit tanto in forma!

Ecco poi che i nostri ci deliziano con la veloce “Short Hair Rocker”, che in alcuni punti mostra evidenti (e graditissime) influenze di Van Halen e Mr. Big, ma senza mai diventare poco originali. E’ poi il turno di “Proud to be loud”, che come dice il titolo è fortissima e tiratissima, a parte un pezzetto dove il buon CC Nail si esibisce in un divertente monologo… anche questa canzone ha un intro in stile Mr. Big, dove la coppia Il Conte/El Guapo ricorda la coppia Paul Gilbert/Billy Sheehan!

E’ arrivata l’ora di finire questo lungo e coinvolgente concerto: ecco quindi una divertente “Highway to Hell” degli AC/DC, dove El Guapo si dimostra ottimo imitatore si Bon Scott!!!

Che dire di altro? Che i Wine Spirit oltre che essere dei grandi musicisti sono anche gentili e umili, perché dopo essere andati a cambiarsi in camerino sono venuti a salutare tutta la gente che li stava aspettando, con molta simpatia e disponibilità.

Inutile dire che sono per me il miglior gruppo rock’n’roll italiano (ma gli Smelly Boggs gil fanno una bella concorrenza!) e che meriterebbero fama e gloria e tournée mondiali! Speriamo che almeno una piccola parte di tutto questo si avveri!
Joe Salty - KickStart

 
HARCORE SUPERSTAR - Thee STP
PALAVOBIS (Milano) - 21 giugno 2002

Sia lode agli STP, per la prima volta non mi hanno spazzolato via le orecchie con il volume delle chitarre! Scherzi a parte tocca al Metius e soci aprire la data milanese degli HARCORE SUPERSTAR (ometto volutamente di parlare di quel gruppo che ha suonato prima di loro… ma che roba facevano??!) e il quintetto rockarolla ci da dentro di brutto. Oltre ai classici come “Lazy Lisa”, che mi ha ronzato infingarda nelle orecchie tutta la sera, la band ha proposto alcuni dei pezzi che andranno a finire sul nuovo disco, tra i quali pure… un “lento”, ovviamente à-la STP!
L’impressione che ho avuto dal vivo è davvero buona, adesso attendo la riconferma del CD.

E adesso tocca agli HARDCORE SUPERSTAR. Prima però permettetemi una breve divagazione sul “fattaccio” di Torino, anche perché è almeno la terza volta che scrivo un live report della band svedese e non ho certo intenzione di dilungarmi su ogni singola canzone.
Jocke & Superstars avrebbero dovuto suonare assieme ai MOTORHEAD e a quegli scoppiati metallari dei GAMMA RAY nella motorcity italiana, due giorni prima della data milanese. Avrebbero, perché qualche mente illuminata, che aveva spostato il gig dal Palastampa al Supermarket, a un’ora (sic!) dall’apertura dei cancelli ha fatto sapere che non ci sarebbe stato nessun concerto. Il motivo? L’impianto elettrico del locale non poteva sostenere il carico dei Motorhead!! Vi lascio immaginare la delusione di chi aveva comprato il biglietto, dei ragazzi che per venire a Torino avevano macinato chilometri da un po’ tutto il nord Italia (vi ricordo che I Motorhead hanno suonato solo a Roma, il giorno prima), di chi, nonostante la catena telefonica (a tal proposito un grazie agli amici di Suburbia che mi hanno avvertito per tempo!) è arrivato sul posto ed è stato preso per il culo da un laconico foglietto. Vi assicuro per certo che Lemmy era incazzato nero e seriamente dispiaciuto per i fan… che dire, mi è giunta voce che forse la data sarà recuperata (a Milano mi auguro) in Ottobre, nell’attesa di una conferma ergo il dito medio a chi fa pagare un concerto 25 euro organizzando un sedicente festival infarcito un po’ di tutto (mi riferisco agli impiastri metallari di cui sopra), con ‘sto caldo era meglio una insalata di riso!!

Ok, adesso torniamo al Palavobis! Sono particolarmente affezionato agli HARDCORE SUPERSTAR, per qualche arcano motivo questa band ha fatto incontrare diverse persone del rock‘n’roll circus italico nella loro prima data all’UB di Milano, persino il sottoscritto e Moreno si sono conosciuti di persona in quella occasione… e non scorderò mai lo “scontro” w/ SOMEONE really SPECIAL! Questa volta nessun problema tecnico, tutto fila liscio e la band ci regala un concerto davvero coinvolgente, vuoi anche per il clima rilassato all’interno dell’infernale tendone. Jocke sfoggia un look decisamente street e come sempre offre una prestazione vocale pazzesca, mentre un plauso va a Silver Silver, scatenato e impeccabile nelle sue pose, anche se ha un tagli di capelli terribile. Tra un pezzo e l’altro la band ci regala un inedito, Magnus sembra un bambinone, e tra una pestata e l’altra si alza dal drumkit, cazzeggia per il palco e lancia gavettoni ai compagni! Peccato che tutto finisca presto ma gli sguardi della gente parlano chiaro.

La nostra serata si conclude al Transilvania, che il caldo ha reso un vero e proprio sudario infernale. Poco dopo arriva anche Martin, che da bassista cicciottello si trasforma in un angelico e tenerissimo putto, e si avvicina a noi offrendoci una birra ciascuno! Ci siamo quindi intrattenuti con lui parlando come si fa tra vecchi amici, e mi sorprendo ancora a pensare a quante volte Martin ci ha timidamente sorriso dicendo che era contento di averci conosciuto. Queste sono cose che fanno bene…
Ne approfitto per salutare Moreno, Roberto e consorte, tutti i Simoni del rock (ma quanti cazzo siamo???) e tutti quelli di cui non ricordo il nome, ci si vede alla prossima!!
Simone Parato

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