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DANGER DANGER + ROBIN BLACK & THE IRS
Camden Underworld, London, UK – 25 Giugno 2003

Quinta e ultima data del minitour dei Danger Danger nel Regno Unito. Dopo anni di assenza dalla scena live europea non sappiamo bene cosa aspettarci, ma va tutto bene: il locale e' abbastanza pieno, un pubblico misto di vecchi nostalgici e giovani virgulti accorsi a curiosare intorno ai nuovi gioielli canadesi della TB Records, i Robin Black & The Intergalactic Rockstars.

Cominciamo subito dalle Rockstar Intergalattiche allora, che tornano a calcare il palco dell'Underworld dopo l'esordio di Febbraio con i Pretty Boy Floyd.
L'ingresso e' affidato a "Better than you", uno dei pezzi piu' incazzati dell'album. Make-up, glitter e attitude fanno da padroni in questo atto di colorato glam bubblegum punk. La formazione vede Robin "Fuckin'" Black alla voce, "Killer" Ky Anto e Starboy alla chitarra, B.B. McQueen al basso e Kevin "K-Tron" Taylor alla batteria.

Con "Suburban SciFi" entriamo in totale RB atmosphere: miagolii suadenti che raccontano storie di rockstars e groupies, il pubblico nel frattempo ha imparato i brani e ce n'e' una grossa fetta a cantare insieme a Robin. Ottime "Time travel tonite", l'androgina "More effeminate than you" e "Candy flip", uno dei pezzi piu' danzerecci dell'album. Citazione speciale per il brano di apertura di "Planet Fame", "TV Trash", uno dei miei personali preferiti nonche' piu' apprezzati dalla folla che si accalca sempre piu' entusiasta. E' il momento dei deliri sleazy di Rockstar Robin, che tra richieste di favori sessuali quantomai esplicite e contatti ravvicinati con le donzelle delle prime file, ci "confessa" di non essere venuto fin qui per piacerci, ma per diventare la nostra band preferita. E dalla volta scorsa, molti qui sembrano aver recepito il messaggio… "Some of you boys and most of you girls will love me!" canta Mr Black, prima di salutarci con il nuovo singolo-cover "Hellraiser". Il bis e' l'ultimo singolo da "Planet Fame", "So sick of you".

Si smonta e si rimonta il palco, e un po' anche le prime file, cambiandone l'assortimento. La "vecchia guardia" prende ora il sopravvento, e i Danger Danger fanno il loro ingresso sul palco in formazione ben rimescolata dagli esordi. Due membri originali, Steve West alla batteria e Bruno Ravel al basso, accompagnati dal cantante che ha ormai da tempo sostituito Ted Poley, Paul Laine, e da un chitarrista assunto appositamente per questo tour, il biondo Rob Marcello.
E' "Shot o'love" ad aprire. La prima impressione e' che la voce, seppure ottima, di Paul Laine dia al tutto un tono meno glam e piu' AOR, e non e' solo la voce. Fisicamente sovrappeso, la sua tenuta capellicorti-jeans-scarpedaginnastica contrasta con l'aspetto rockermaturomainsalute degli altri due, per non parlare del giovane e profumato chitarrista.

Si prosegue con "Under the gun" e "Beat the bullet", ma e' con "Dead Drunk & Wasted" che inizio a divertirmi. Decisamente piu' adatta alle doti vocali di Laine, e anche il pubblico entra nell'umore giusto per gustare il resto di questo revival. C'e' "Goin' goin' gone" e "Rock America", forse uno dei pezzi migliori di questo show. Un piccolo miracolo di ringiovanimento, sara' il sorriso sul volto di Bruno di fronte alla schiera di mani alzate, hai la sensazione che davvero per qualche minuto questi quattro siano di nuovo "on the road" per conquistare il mondo.
Il mio picco personale arriva comunque con l'ottima esecuzione di "Good time", fresca, brillante e rock'n'roll, e lo stesso sembra pensare Robin Black che si unisce agli headliner per l'esecuzione di questo brano.

Non possono mancare i classici, spazio alla sempreverde "Monkey business" e ai due ovvii momenti nostalgia di "Naughty Naughty" e "Bang Bang", e qui forse la mancanza di Ted Poley torna a far timidamente capolino. Ed e' la fine, tra gli applausi del pubblico piu' e meno giovane che acclama all'unisono i Danger Danger.
Un concerto bello e strano quello di oggi, che mette d'amore e d'accordo due fette di pubblico non proprio uguali ne' contemporanee, e mentre fa un po' di scuola alle nuove leve insegna alle vecchie che c'e' ancora qualcosa che bolle in pentola…
Cristina Massei

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FASTER PUSSYCAT + BANG TANGO
La Gabbia, Bassano del Grappa – 24 maggio 2003

Cominciamo col dire che questa recensione me la sarei volentieri risparmiata, ma e' troppo comodo occuparsi solo delle storie finite bene, e poi nessuno si e' fatto avanti e qualcuno dovra' pure parlarne… E allora parliamone, dell'evento glam forse piu' atteso dopo gli Hanoi Rocks e della piu' grande delusione di questa serie di concerti che stanno facendo riaffiorare make up e parrucche sulla nostra penisola. I Faster Pussycat, si, proprio loro, finalmente in Italia!
Ammetto colpa e mi autoflagello per aver mancato quasi completamente le esibizioni delle band di supporto, che probabilmente sono valsi piu' degli headliners sul prezzo del biglietto. Purtroppo una successione di eventi a dir poco fantozziani mi hanno privato del piacere, e invito i presenti a darci un dettagliato resoconto, anche fingendo che l'atto principale fossero i Bang Tango o i Plan Nine. Questi ragazzi non meritano di essere penalizzati con un totale silenzio stampa per colpe altrui no?

I Bang Tango si sono presentati in formazione ri-rimaneggiata, per dirlo in maniera "tecnica". Traduzione: Joe Leste, unico componente originale e probabilmente unico disoccupato rimasto tra loro, ha messo insieme una band di anonimi che a quanto mi dicono ha fatto fuori prima di partire per l'Europa in seguito ad una litigata. Il fatto che di questa reunion avessi sentito parlare per la prima volta un anno fa da un amico stretto di Kyle Kyle, che poi non e' mai entrato in causa, mi fa pensare… Comunque, i Bang Tango presentati in Europa erano tre quinti di Beautiful Creatures, featuring Anthony Focx e l'ennesimo anonimo rimpiazzo di DJ Ashba, dopo Michael Thomas (Tuff) che apparentemente non e' durato molto. Premesso che non sono mai stata una grande fan, e che non conosco molto i pezzi, hanno suonato per un tempo decente e in maniera decente, rispolverando vecchi successi come "Love injection", "Breaking up a heart of stone", "Dancing on coals", tutti ben accolti dal pubblico, piu' tre cover, un po' troppe forse... Su tutto la voce di Leste, inconfondibile e graffiante come sempre, che anche nell'inflazionato anno 2001 e' riuscita a dare un inconfondibile marchio a una moderna scommessa della Warner, scusate se e' poco. Tra tutte le ex rockstars che cercano di fare due sghei su un passato semiglorioso, in fondo lui e' quello che si e' potuto permettere di vivere una vera "seconda giovinezza" in termini musicali, buttato su un trampolino di lancio come l'Ozzfest a quasi quarant'anni. Che poi non abbia saputo gestire molto bene la situazione, beh, quello e' un altro lungo discorso, rimane comunque un gran vocalist che siamo contenti di aver potuto ascoltare.
E finalmente, qui e' la sfiga delle support bands, ci avviciniamo al momento clue. Tutti hanno risparmiato energie e entusiasmo per quello che dovrebbe essere l'evento della serata. La voce e' girata che per oscuri malintesi ieri a Milano hanno suonato solo mezzora, e il pubblico e' li con le dita incrociate sperando che questo momento a lungo sognato non tradisca le aspettative. Taime Downe e' backstage, influenzato, mal di gola, sdraiato inerte su un divanetto al buio. Gli passo un paio di aspirine e spero bene, ma non ho una sensazione troppo positiva… Purtroppo ho ragione, anzi, va ben peggio di quanto pensassi.

I Faster Pussycat entrano in scena. Gli amplificatori diffondono le note di "Cathouse", e siamo tutti pronti a gettarci nel piu' favoloso party di inizio estate, nell'atmosfera calda e appiccicosa della Gabbia. Brent, Danny, Christian e Chad sembrano essere con noi, entusiasti e sorridenti irrompono sul palco decisi a ripagarci di anni d'attesa. E poi arriva lui, quello che e' stato per molti di noi un simbolo, un'icona, una luce colorata nei giorni bui: Taime Downe, pesante, statico, annoiato, pantaloni e maglietta nera senza colore e senza fantasia. I versi dell'adorato anthem sono cantati a intermittenza, con le vocalita' di un ubriaco a un karaoke di provincia. Ok, e' malato… Ma quello che avviene dopo non e' scusabile. Uno del pubblico grida che rivuole i soldi indietro, e certo e' una reazione non gradita, ma la volgarita' della risposta di Taime rischia davvero di mandare a puttane tutto quanto. E' un rantolo direi di rancore, di risentimento, verso chi comunque lo ha seguito, non lo ha dimenticato in questi anni e stasera ha pagato per essere qui. Perche'?
L'increscioso "incidente" sfuma nelle note di "Slip of the tongue", "Where there's a whip" e "House of pain", con il decadente leader seduto sotto alla batteria, e parte del pubblico che canta con lui. Non e' superlativo ma raggiunge il sei politico, mentre il resto della band fa uno sforzo non da poco per mantenere l'entusiasmo e una parvenza di professionalita'.
Per loro, e per quello che sta per avvenire, ho deciso che anche questo avvenimento meritava di essere raccontato. Perche' al di la' di una serata, di un episodio, o anche possibilmente della personale delusione che certi personaggi a volte ci infliggono, rimane quello che per tutti questi anni ci hanno donato. E se stasera ci sentiamo traditi dall'essere umano di fronte a noi, e derubati di qualche euro, ci sono quindici anni che nessuno ci potra' sottrarre.

Quando "You're so vain" inizia ad accarezzarci, tutto e' momentaneamente messo da parte. Riprende a battere il cuore di noi glamsters, non c'e' piu' Taime ma tutto quello che queste note hanno rappresentato per noi in questi anni, la solita inspiegabile magia ci spinge tutti in avanti e ci illumina gli occhi, e' ecstasy nebulizzata nell'aria. Sembra uno di quei film dell'orrore in cui immagini del passato prendono vita, e nella sala diroccata di un castello abbandonato dame ottocentesche volteggiano al suono di un valzer antico.
Di fronte a uno spettacolo tanto indegno, la gente spinge, canta, balla, e addirittura tira ripetutamente fuori un coro "Taime is God", che a ripeterlo ora suona di presa in giro ma al momento era reale, ve lo dico io che ero una di quelle che urlava. E' una celebrazione della musica e di chi la ama, di tutti noi che abbiamo una colonna sonora per ogni piccolo e grande avvenimento della nostra vita.
E quando si alzano i cori anche Taime sorride, ringrazia, si compiace, e fa uno sforzino in piu', o forse sono gli occhiali rosa del cuore che me lo fanno vedere e sentire meglio, chissa'. Da qui e' una gran festa nelle prime file, una di quelle dove tutti sono cosi ubriachi da non capire cosa sta accadendo intorno ma sembrano divertirsi un casino. Si salta, si canta, si poga addirittura, e "Taime is God" si ripete alla fine di ogni brano. "Don't change that song", tre pezzi nuovi niente male, la cover di "Shut up and fuck" delle Betty Blowtorch dedicata all'amica Bianca, l'incredibile "Babylon" e "Bathroom wall" sopra a tutte, siamo poche file la' davanti ma ci sentiamo un'esercito. "How lucky that I didn't use the other stall", che fortuna essere cresciuti con queste note in sottofondo, questo e' il tema della festa.

E poi e' finita, si spegne la musica e l'incantesimo, ci guardiamo l'uno con l'altro, "che schifo!" e' il commento piu' gettonato. Dalle stesse persone che gridavano "Taime is God" e pogavano con l'immancabile sorriso drogato.
Oggi, al lume della ragione, spento il mio lettore cd in nome della lucidita', mi sento in dovere di dirvi cosa apparentemente girava in quel testone, seppure non sia una giustificazione.
Ho visto i Faster Pussycat circa un anno e mezzo fa a Los Angeles; la scaletta era per tre quarti Newlydeads o giu' di li, perche' questo e' cio' che Taime ama oggi, anzi, questo e' quello che lui ha creato da solo per suo piacere e come sua personale espressione artistica. Non e' il mio genere, ma non posso negare che la qualita' dello show era superiore anni luce a quello che abbiamo visto stasera. Sembravano passati dieci anni anziche' uno, come prestazione, look e passione. Poi il supporto ai Poison, mezzora soltanto, Faster Pussycat ma con un timbro un po' piu' duro, evidenziato dalla scelta del famoso look nazista. Impressione positiva.
Prima di imbarcarsi per questo tour europeo, i consigli sono stati "evita i Newlydeads, evita la Valle dell'Ultra Passera, evita il look nazista e possibilmente quello glam goth alla Manson, laggiu' vogliono i vecchi Faster". Non mi aspettavo li seguisse ma lo ha fatto, chiaramente controvoglia. Era quello che volevamo noi, non quello che voleva lui, e l'abbigliamento minimalista pantalone e maglietta nera doveva dirci gia' abbastanza.
Quello che per noi e' triste e' dover accettare di vedere un grande Taime versione Manson o la sua ombra versione Faster, accettare che quello che noi ancora amiamo lui quasi lo detesta, accettare che i tempi cambiano e con loro molte persone. Io e quelli della "Taime is God band" abbiamo trovato il nostro modo di venire a patti con l'amarezza della realta', rifugiandoci come grossi Peter Pan nella nostra Isola-che-non-c'e', dove la musica puo' fermare il tempo e farci vedere per un'ora una scena diversa da quella reale che abbiamo davanti. Non e' stato poi cosi difficile, bastava guardare negli occhi alcuni co-isolani su quel palco, primo tra tutti l'entusiasta Brent Muscat, che continua noncurante a svolazzare tra Faster, LA Guns e resti dei G'n'R.
Personalmente, mi vedo ormai costretta ad accettare le scelte di Mr. Downe e augurargli in bocca al lupo, e mai piu' mi verra' in mente di chiedergli un'altro tour-nostalgia. Malgrado tutto, non finiro' mai di ringraziarlo per l'eredita' di quegli anni, per un album come "Faster Pussycat" che portero' con me nella tomba. Insostituibile ed eterno.
Un lumicino di speranza pero' ce l'ho: attendo con ansia i resoconti del Metal Sludge Extravaganza Tour con Pretty Boy Floyd e Enuff'z'Nuff, chissa' che un po' di party athmosphere non gli faccia ritrovare lo spirito.
Cristina Massei

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WILDHEARTS
Forum, Londra – Venerdi 2 Maggio 2003

Avevo quasi deciso di non farla questa recensione, anzi, ho ancora dei grossi dubbi. Perche’ ci vuole ben altro che una piccola cronista di eventi musicali come me per mettere un miracolo del genere nella giusta luce. Ma in fondo, mi son detta, nessuno potrebbe mai rendere una cosa del genere con una semplice e arida successione di parole; posso solo augurarvi di vederli un giorno, e solo allora saprete veramente cosa sto cercando di descrivere.
Partiamo col dire che la capienza del Forum e’ di 2110 persone, e che sono rimaste solo poche decine di posti nella balconata superiore. Va ricordato, per sottolineare l’enfasi di tali numeri, che i Wildhearts nascono poco prima della maledizione Kobain, e senza essere grunge e senza aver contratti con major e nessuna simpatia nell’industria o nella stampa, ancora oggi sono qui. Dopo aver sfasciato gli uffici di Kerrang, sputato in faccia a 9/10 di quelli che contavano comprese le tendenze del momento, dopo aver fatto di tutto per essere le pecore nere ed essere messi all’angolo e poi distrutti, i Wildhearts non solo sopravvivono, ma trionfano in questo mondo di squali grazie ad un solo e unico elemento: la loro musica.

Sono nell’area fotografi sotto il palco pronta all’azione, le luci si spengono, si diffondono le prime inconfondibili note di “Wanna go where the people go” e... e’ qui che devo lasciarvi un grande buco, non un buco nero ma di luce, un flash accecante negli occhi, qualcosa che non so e non voglio descrivere. Non c’e’ orgasmo, non c’e’ droga, non posso immaginare niente di terreno come questo momento.
La folla e’ davvero im-pa-zzi-ta, mai visto niente del genere in questi plastici primi anni del ventunesimo secolo. Ci sorridiamo sconcertati addirittura tra fotografi, noncuranti dei corpi sollevati e trascinati sulle nostre teste e delle docce fredde che ci arrivano dal palco. E mentre con gli occhi lucidi cerco implacabile di imprimere su pellicola cotanta gioia, arrivano altre note che fanno fare capriole al mio cuore, e’ “TV Tan”...
Guardo Ginger attraverso il mio obiettivo: normalissimo, semplice, non alto, non bello, niente aureola o segni particolari di provenienza aliena. Ginger e’ decisamente un essere umano. E questi miracoloso insieme di accordi di immenso potere emotivo li ha messi insieme lui. E’ cosi difficile creder, che qualcosa di cosi perfetto possa venire da un uomo. E’ cosi strano pensare che le creazioni di questo tipo in piedi davanti a me possano dare emozioni di pari intensita’ di quelle che Madre Natura puo’ darci con un tramonto sull’Oceano. Ginger e’ un genio. Ginger e’ un uomo baciato dalla Dea della Creativita’, e’ un immortale perche’ le sue creature non moriranno mai e lui vivra’ con loro.
Segue “She’s got me”, ed esplode “Caffeine Bomb”, gente che salta sul palco, uno dopo l’altro, vengono ributtati giu’ e corrono ad abbracciare gli amici, e tutti insieme si continua a saltare. Che festa ragazzi!
Le foto saranno magari tutte uguali, ma a che servono gli effetti speciali? L’attenzione e’ comunque focalizzata sulla musica, e Ginger non e’ che questo ambasciatore della Corte Superiore del rock’n’roll, che non ha bisogno di trucco o passi di danza ma solo della sua divina ispirazione.
E’ il momento dei pezzi nuovi, tra cui spicca l’ottima esecuzione live di “Vanilla Radio”. Sono tutti decisamente buoni e orecchiabili, ma manca un po’ della vecchia rabbia per accendere la miccia. E allora torniamo al vecchio, e Ginger continua a spaccare chitarre finche’ deve fermarsi. Ottima occasione per il pubblico presente per scatenarsi in cori da stadio che non sento dagli anni 80, mi sembra quasi quasi di aver sbagliato arena, sono forse all’Old Trafford per le celebrazioni dello scudetto del Manchester?? Bah. “Gin-ger, Gin-ger”, grida la folla, e il geordian riappare per comunicarci che non ha piu chitarre, il che vuol dire semplicemente che non suonera’ piu’ la chitarra! “It’s all rock’n’roll” dice, anche se probabilmente avra’ inveito contro l’intero staff backstage, ma che vuoi farci, i geni non sono mai tutti sani.

Alla fine la chitarra la trova, e c’e’ l’altro punto clue del concerto di questa sera, che si apre con l’incredibile “My baby is a headfuck”: Ginger la inizia, passa il microfono, il Forum in coro pronto risponde all’appello: “I’M JUST A MEEEEESSSSS!!”. Ho gli occhi lucidi di gioia ancora ora mentre scrivo, mi vien voglia di buttarvi giu’ tutto il testo mentre mi sta passando per la mente sperando che leggendolo possiate sentire anche la musica, e tutti noi duemila che cantiamo con Ginger, ma non funzionerebbe dannazione. Forse dovremmo organizzare qualcosa io e Moreno, tipo una trasmissione audio in diretta per certi eventi, che so, almeno le prime tre canzoni come si fa per le foto. Io proprio non ce la faccio a descrivervi certe cose pensando che non posso dividerle con tutti voi! E’ tale la disperazione che, mentre verso la mia ultima lacrimuccia di gioia per “29 x the pain” cerco disperatamente di collegare qualcuno di voi sfortunati via cellulare ma senza successo. Devo arrendermi e godere da sola... Ma che dico?? Siamo in duemila qui, e alla fine ci abbracciamo tutti come fossimo davvero il Man U che ha vinto il campionato. Immancabile sorriso ebete post-orgasmo. Clinico godimento da sudorazione eccessiva. Aroma di birra nell’aria. Occasionali soggetti scalzi che cercano scarpa perduta nel marasma generale. Bellissimo.
Ora dell’aftershow party, dove troveremo Sua Maesta’ Ginger disponibilissimo in pantaloni larghi, camicia senza maniche e scarpe da ginnastica. Lo incontrassi fuori della metro gli daresti anche qualche spicciolo. Vai a sapere sotto quali abiti si nascondono le menti piu’ ispirate....
Per la cronaca, Danny McCormack si e’ autorinchiuso in comunita’ poco prima dell’inizio del tour ed e’ stato sostituito al basso da Pat Toole, ex Silverginger 5. I nostri migliori auguri a Danny per una pronta ripresa, se volete mandargli due righe di conforto e’ tutto su www.thewildhearts.com. Il resto della formazione era quella originale, con CJ alla chitarra e Stidi alla batteria. Di supporto gli Amen, che mi fanno personalmente cagare, ho provato ma mi sono dovuta rinchiudere in bagno di corsa perche’ proprio non li reggevo.
Ora non resta che incrociare le dita perche’ questi quattro vecchi monelli del rock’n’roll si decidano finalmente a farci visita, altrimenti caro Moreno abbiamo due alternative: broadcast in diretta almeno dei primi tre pezzi, meglio se video; organizzazione Slam Bus per il prossimo show europeo.
Buon rock’n’roll a tutti...
Cristina Massei

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ANTIPRODUCT
12 Bar, Londra – 5 Aprile 2003

Questo sabato londinese ci offre uno special treat pre-Decadence. Gli Antiproduct presentano in anteprima i pezzi del loro imminente album "Made in USA" in uno show per fans d.o.c. al "12 bar", minuscolo ma rinomato club nei vicoli popolati del West End.
Il locale e' pienissimo, si sta stretti sopra e sotto il palco, dove un gruppo di fans di Newcastle fanno un gran casino gia' prima del fischio d'inizio mentre Gonk sistema la batteria. C'e' addirittura chi sfoggia completo make-up alla Alex Kane, quello classico col grosso sorriso dipinto.
In realta' abbiamo gia' avuto assaggi di alcuni pezzi in qualche show di supporto, tipo Murderdolls, ma ora che l'uscita dell'album si avvicina (26 aprile) siamo senz'altro tutti un po' piu' curiosi. E finalmente i nostri fanno il loro ingresso sul palco.
Stupefacente, Alex sembra quasi un uomo e Clare quasi una donna stasera, mentre la nostra Marina e' un po' nascosta nelle retrovie che se la ride con Gonk, e Milena sempre uguale.

Il pezzo con cui la band da' il via alla serata e' "My favourite can", che ad un primo ascolto sembra buono, ma quello che scalda il pubblico e' il secondo, "Turnin' me on", allegro ed energico in classico stile Antiproduct. Si prosegue con estratti da "Made in USA", piu' precisamente "Something good", "Going where the action is", "Going all the way", e in linea generale si nota con piacere una maturazione dei cinque rispetto al seppur ottimo "Consume and die". C'e' piu' varieta' tra i pezzi, e piu' omogeneita' nell'ambito della singola track. Si e' perso insomma un po' quel tocco di follia, ma non la creativita' e l'adrenalina di Alex Kane e compagni. A dimostrazione, ecco arrivare due pezzi diversi tra loro ma entrambi decisamente positivi: "Party's all over the world", il titolo dice gia' parecchio, che si appresta a diventare la mia personale favorita su quest'album, e apparentemente la favorita di una bella fetta di pubblico; "Nu Nah", piu' dura, piu' metal, che conquista l'altra fetta di pubblico, quella a cui io non appartengo. Comunque obiettivamente un buon pezzo anche questo.
Andiamo avanti con le prossime novita' in scaletta, "My satin" e la gradevole "Thank God I'm right", poi una spruzzata di vecchio con "The Rules we rock'n'roll by", e di nuovo a "Made in USA" con un pezzo destinato a diventare un classico, per originalita' e per quanto incredibilmente entra nella testa della gente al primo ascolto: "If I was Orson Welles", l'ho sentita una volta ai Murderdolls e gia' posso cantarla, cosi come il resto dei presenti.

Alex ci da' anche occasione di esprimere il nostro supporto alle attuali catastrofi diplomatiche dirigendo un simpatico coretto di "Fuck George Bush", grazie Alex, ed e' ora di presentare quello che sara' il primo singolo dall'album protagonista di questa serata: si tratta di "Better than this", che come "Nu Nah" classifico troppo metal per le mie orecchie ma hey, se vi piace il genere accomodatevi perche' e' un singolo niente male.
Alle note immancabili di "Bungee Jumpin' People Die" sappiamo che ci stiamo avvicinando ai saluti, e ci accorgiamo che e' durata un buon paio d'ore, wow! C'e' ancora "Captain Wrong", "I live in England" e "Tell me what you want", prima che i nostri eroi si confondono tra la folla che circonda il bar.

Nel complesso, giudizio positivo sul gig e sull'album, che attendo con ansia di poter ascoltare con piu' calma e attenzione. Sembra essercene per tutti i gusti, un po' come i membri di questa folle band. Arrivederci su queste pagine per la recensione di "Made in USA", in tutti i negozi il 26 Aprile su Cargo, e se volete un assaggio beccatevi le miniclip su www.antiproduct.com. Un consiglio, per chi non lo avesse ancora notato: attenzione alla pagina del merchandise…
Cristina Massei

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LA GUNS, ENUFF'Z'NUFF, BASTET
Alpheus, Roma – 20 Aprile 2003

Della serie "cose che abbiamo sempre sognato di scrivere ma mai avremmo pensato di vedere davvero"… Eccomi a Roma, la mia citta', dove non sono riuscita neanche a vedere i Motley Crue nei tempi d'oro, davanti all'Alpheus che si prepara ad ospitare nientepopodimeno che Enuff'z'Nuff e LA Guns! L'ho sognato? No, le foto parlano chiaro. E allora sediamoci e raccontiamo questa perla di serata, sperando che sia la prima ma non l'ultima.
Confesso, ho passato settimane a fare scongiuri: suonare la Domenica di Pasqua non e' facile per nessuno, una bella mazzata all'affluenza, e questo e' da considerarsi un test per tour a venire. Se funziona potrebbe essere l'inizio, se non funziona la fine. Gasp! Ma i primi segnali sono incoraggianti.
Arrivo davanti all'Alpheus alle sette e, dopo il mio primo emozionante incontro con il Barbie Van parcheggiato fuori, noto che c'e' gia' una prima squadra di irriducibili che staziona davanti all'ingresso. Entro, incontro i ragazzi tutti di ottimo umore, apparentemente lo show milanese e' stato un successone. Le ore passano tra sound check, foto, chiacchiere e nuove conoscenze, e si avvicina il fatidico "fischio d'inizio". Ad aprire lo show saranno i
Bastet, arrivati dal Veneto con il suddetto Barbie Van all'ultimo momento, causa problemi di salute di uno degli Smelly Boggs originariamente designati. Sono curiosa, ne ho sentito parlare (prevalentemente bene), ho sentito i demo e mi sono piaciuti, e mi son piaciuti anche loro a dire il vero.

Mi apposto sotto il palco per le foto di rito, mentre Pacino fa le presentazioni: "noi siamo una band di campagna". Facilmente intuibile da tale premessa che ci sara' da ridere, ora sentiamo se i nostri contadini veneti sanno anche suonare… "Erected" apre le danze, si che sanno suonare c***o! E non solo, reggono il palco egregiamente e si divertono "'na cifra" (permettetemi il romanismo), contagiando immediatamente il pubblico che li accoglie con entusiasmo. I Bastet suonano sporco rock'n'roll alla Wildhearts con un timbro proprio, fatto di humour e una leggera vena glam-punk tra "Talk Dirty" e i vecchi Faster Pussycat. I pezzi sono orecchiabili, di quelli che puoi canticchiare dopo un paio di ascolti ma difficilmente finiscono per annoiarti. Segue "Doubts in the mirror" e "Revenge is a meal best served cold".
Il solito Pacino semiserio introduce la prossima come "un inno alla speranza", e per la gioia dei non bilingue presenti la annuncia in italiano, col titolo "Stasera trombo". Si tratta infatti di "Gonna get laid tonight", tratto dall’album "Gimme some more of Sodom + Gomorrah" prodotto da Ric Browde, concept album sulla figa e perdita di verginita’ di cui possiedo orgogliosamente solo tre pezzi (Pacinooooooooo) tutti davvero molto godibili. Segue "Spurtin joy wherever I go", e poi e' ora di unirsi contro il nostro vecchio killer, Mr Kurt Cobain, capostipite della corrente grunge che spense nei Novanta tutto cio' che stasera stiamo celebrando. "A qualcuno piace? Quei due laggiu' allora, tappatevi le orecchie, quello che sentirete potrebbe darvi fastidio…"; il pezzo e' intitolato "Shooting Kurt Cobain", vero che ci ha pensato da solo ma forse bisognava provvedere un po' prima. Non puo' mancare "God is good, God is great" (vero Reverendo??), terzo estratto dall’ep ancora in lavorazione, insieme a “Spurtin Joy” e alla rompighiaccio “Erected”; e siamo quasi in chiusura con "Lipstick Army", di cui mi sono stati promessi i "testi-filosofia" che attendo con ansia…
E semmai avessi ancora qualche dubbio sui Bastet e le loro influenze, la chiusura e' affidata alla cover di "Loveshit" degli eterni e unici Wildhearts, a cui Pacino e compagni rendono felicemente giustizia.
Bene, qualcosa di buono sembra bollire in pentola nelle campagne venete, possiamo solo augurarci per la nostra e la loro gioia che qualcuno lassu' se ne accorga…Salutiamo i Bastet (che rivedremo a Roma il 7 maggio, http://www.bastet.tv for info) e prepariamoci spiritualmente agli
Enuff'z'Nuff in formazione ridotta. Donnie Vie e' momentaneamente fuori e il chitarrista Johnny Monaco e' incaricato della parte vocale. Ricky Parent fedelmente alla batteria.

Il tre pezzi di Chicago fa finalmente il suo ingresso onstage, e, per chi ha visto come me l’intera famiglia nei suoi quattro pezzi piu’ volte, c’e’ un attimo di malinconia per un amico e un artista tormentato che stasera ha dovuto mancare l’appuntamento. Ma niente paura, i ragazzi affrontano la situazione con tranquillita’ e affiatamento, e la voce di Monaco e’ cosi simile a quella del vocalist originale che chiudendo gli occhi puoi far finta che nulla sia cambiato.
Inaspettatamente aprono con il loro maggiore hit, “New thing”, eliminando la classica cover dei Beatles “Revolution”, forse non adatta alle corde vocali di Johnny. Non puo’ che essere accolto bene, riportando nell’aria i ricordi dei bei tempi di Foxx e Frigo quando la rock scene era allegra e colorata. Tutti ricordano “New thing”, e molti ricordano anche la seguente e toccante “Heaven or hell”, poi diventa terreno piu’ riservato ai fans, e forse il pubblico si divide un po’.
La particolarita’ degli Enuff’z’Nuff e’ che nella scena glam ci si sono trovati un po’ per caso, piu’ per look che per musica, come loro stessi amano specificare, e il loro suono piu’ pop che rock non e’ necessariamente apprezzato da tutto il pubblico degli LA Guns. Malgrado cio’ e malgrado l’evoluzione beatlesiana della loro musica nel corso degli anni (hanno all’attivo 11 albums di cui i piu’ conoscono si e no meta’), hanno mantenuto una loro fedelissima fan base, e cosi come c’e’ gente che e’ qui per gli headliners piu’ che per loro, c’e’ chi e’ qui invece proprio per Chip e compagni e marginalmente per gli altri. Questa fetta di audience e’ abbastanza per tenere vivo lo show, ballando e cantando con quei bei sorrisi ebeti e felici di cui ai concerti di Eminem non c’e’ assolutamente traccia.
La ballad “She wants more” e poi “Stoned”, un classico per gli irriducibili di questo gruppo, sedano l’atmosfera, che torna piu’ scoppiettante e danzereccia con il pezzo d’apertura del nuovo album “Welcome to Blue Island”, “Saturday”. E’ la tipica track superpop a la Marvelous 3 che non manca mai su un album degli Enuff, cosi come “There goes my heart” sullo scorso “10”, che se non avete vi consiglio decisamente per le giornate uggiose e per un saggio del “Vie pensiero”. Proprio da “10” arriva la cover di Bowie “Jean Genie”.
Ma da sempre il mio pezzo preferito, quello da occhio lucido, e’ quella piccolo gioiello che e’ “Baby loves you” nel suo orecchiabile e scontato romanticismo; i capolavori in fondo sono quelli cosi perfetti nella loro semplicita’ che ti viene da chiederti come mai nessuno li abbia scritti prima... Punto di vista personale.
Siamo in chiusura con “Fly high Michelle”, l’altro grande successo degli EZN, quello che Donnie odiava cantare per tutti i ricordi a cui era legato... Compito piu’ facile per Monaco, mi vien da pensare, con un altro brivido di nostalgia. Ed e’ qui che mi rendo conto che qualcosa di indefinibile e’ mancato stasera, almeno per me, rispetto agli show gia’ visti. Eppure, tre membri sono gli stessi, e quello che manca e’ egregiamente rimpiazzato da un componente della band medesima con la stessa voce, e l’affiatamento non e’ scemato di un millimetro. Cerco di figurarmi Vie su questo palco, e lo vedo, chiaro e distinto: si chiama carisma, quella dote divina che spesso dimentichiamo di considerare perche’ non puo’ essere tecnicamente o musicalmente definita, ma che e’ stata piu’ del cinquanta per cento della ragione del successo di alcune band. Carisma che spesso tristemente si lega a personalita’ complesse, delusionali, schizofreniche e additive... Perche’? Forse perche’ cosi sono i geni, forse perche’ per trasmettere simili sensazioni e per riuscire a descriverle in sette note ci vuole una sensibilita’ non comune, che agli estremi finisce per tradursi in tragedia o follia...
Salutiamo gli Enuff’z’Nuff complimentandoci per la professionalita’ con cui hanno affrontato questa situazione d’emergenza, e auguriamo loro di ritrovarsi presto tutti e quattro insieme e tornare da queste parti in formazione completa.

Ed e’ ora degli headliners LA Guns, anche loro in formazione rimescolata, anche loro privi di un membro fondatore (Tracii Guns), ma con la differenza che si sono aggiudicati ben due rimpiazzi, e che rimpiazzi! Alla chitarra Brent Muscat dei Faster Pussycat da un lato, e la “prostituta” del r’n’r Keri Kelli dall’altra. Al basso si continua a cambiare, stavolta c’e’ Adam che dura ormai da un po’, magari ci resta...
E i nostri pistoleri aprono il fuoco con “Over the Edge” tra il delirio del pubblico romano, che nell’entusiasmo non si rende piu’ di tanto conto del declino fisico e vocale di Phil Lewis, o forse se ne sbatte giustamente per godersi un momento tanto leggendario.
Che dire, devo ammettere che il mio sguardo va da destra a sinistra and back ai due chitarristi, perno di questo show a mio parere. Convivono splendidamente, si incrociano, si sovrappongono, si dividono, si divertono. Keri, che avevo visto in precedenza con Slash’ Snakepit, conferma la sua validita’ tecnica nonche’ un’ottima seppur narcisistica presenza on stage, il chitarrista che tutti vogliono ma nessuno riesce a tenere, il session musician di lusso per scelta. Brent mostra tutta l’esperienza degli anni con i Faster Pussycat, e direi un’indubbia e gradita maturazione. Sicuri, sorridenti, complici (attualmente insieme anche nel progetto Suki Jones di Steven Adler).
Adam sembra ormai sentirsi a casa, e anche lui interagisce gioiosamente. Steve Riley e’ sempre lo stesso, con qualche anno in piu’ ma lo stesso entusiasmo. Phil... Mah, e’ invecchiato eh? Il palco ancora lo regge, certo non come prima, e anche la voce non e’ piu’ la stessa, pero’ e’ lui la faccia che vogliamo per gli LA Guns, almeno lui non si tocca.
“Kiss my love goodbye” e’ sempre uno dei pezzi piu’ graditi, anche “Long time dead” riscuote successo. Ed e’ ora di svegliarlo il morto, dal nuovo “Waking the dead” ci propongono tre pezzi: “Don’t look at me that way”, “Revolution” e “Hellraiser ball”. Tristemente esclusa la mia preferita “Psycopathic eyes”, sigh.
E finalmente si torna ai classici. L’entusiasmo monta esponenzialmente, via via che il quintetto ci snocciola perle dello street ottantiano del calibro di “Sex action”, l’indimenticabile “Never enough” e “One more reason to die”, che personalmente giudico la piu’ coinvolgente nell’esecuzione live, a pari merito solo forse con “Electric Gipsy”.
Ma tornando leggermente indietro, una speciale nota va a “Beautiful”, una splendida ballad dal precedente “Man in the Moon”. Perche’ speciale? In tutti queste riesumazioni di nostri vecchi idoli, che ormai vanno avanti da tre o quattro anni, il concerto live e’ composto da a) Hits pre-1992; b) Due o tre pezzi dall’ultimo album. Tutto quello che c’e’ in mezzo viene fagocitato in un grande buco nero, o perche’ era assolutamente dimenticabile o perche’ non avendo venduto per ragioni di epoca sbagliata non interessa a nessuno. Onore al merito dunque a Phil, Steve e i loro nuovi compagni d’avventura, sia per essere riusciti a scrivere qualcosa di significativo anche in un momento buio, sia per avere il coraggio di proporlo pur non essendo ne’ un successo ne’ un disco da promuovere. Bravi. Questo e’ credere nella propria musica, molti “colleghi” dovrebbero umilmente prendere esempio.
Restando in tema di ballads, non puo’ mancare il “momento accendino”, con l’intro di “Crystal Eyes” e l’immancabile “Ballad of Jayne”, che per quanto l’abbia sentita mille volte ormai e’ sempre un colpo dritto al cuore.
Il bis con cui gli LA Guns ci accomiatano stasera e’ “Rip & Tear”, che non mi sono goduta per niente, pensando che ahime’, questa occasione speciale, queste tre orette attese per anni erano gia’ velocemente volate via...
Se devo dire la verita’, da veterana di gigs di entrambe le bands (credo di aver visto in media 10 shows per ciascuna), stasera mi hanno dato entrambe la stessa sensazione di “incompletezza”. Su gli EZN ci siamo gia’ dilungati abbastanza; sugli LA Guns, malgrado mi sarei inginocchiata davanti a Brent e Keri, alla fin fine ti aspetti di vedere Tracii. E’ una semplice equivalenza fotografica mentale, dici LA Guns e vedi la sua faccia e quella di Phil. Non mi lamento, come non mi lamenterei vedendo Steven Tyler cantare con Eddie Van Halen alla chitarra, ma non sarebbero Aerosmith ne’ Van Halen.

Quello che ha reso questo concerto un evento per me storico e’ il pubblico, che personalmente ringrazio per aver dedicato la Pasqua al r’n’r, come diciamo qui “you made my day”! Dunque ci siete eh, anche a Roma, dove accidenti vi siete nascosti finora?? Non e’ ora di pensare, lentamente e umilmente, a una serata Cathouse romana? Io posso solo lanciare da qui, spero qualcuno si muova.
E malgrado il mio grazie piu’ grande vada a tutti voi rockers riemersi dalle catacombe che avete cantato e sudato con me, vorrei ringraziare per questa stupenda giornata i seguenti soggetti per l’aiuto e/o godimento personale:
- Mio fratello Stefano e girlfriend Patrizia, che hanno pazientemente aspettato in macchina un’ora a fine show mentre organizzavo un tour degli autogrill col Barbie Van;
- Claudio Pucci che ha fatto piu’ foto lui backstage di un paparazzo ma deve ancora mandarmele;
- Debbie per l’impeccabile organizzazione e la pazienza;
- Brent Muscat, Chip’z’Nuff e Keri Kelli per collaborazione, professionalita’ e simpatia;
- Tutti gli altri in Enuff’z’Nuff e LA Guns senno’ ci restano male;
- Rufus per l’exploit in napoletano sull’amato Tour Manager che mi ha regalato la risata migliore della serata;
- I Bastet per avermi ridato fiducia nel rock italiano e nei contadini veneti;
- Pacino (lui sa perche’);
- Moreno che ancora mi da’ spazio per scrivere ‘ste boiate;
- Least but not last, il rock’n’roll, che possa vivere per sempre, amen.
Cristina Massei

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CHEAP TRICK
Royal Albert Hall, Londra – 13 Marzo 2003

Ed e' arrivato il giovedi fatidico, sono eccitata per questa serata che si preannuncia davvero speciale. Un concerto rock alla celeberrima Royal Albert Hall… Mi correggo, un concerto dei Cheap Trick alla Royal Albert Hall.
I Cheap Trick sono una di quelle band difficili da collocare. Molti li definiscono una "second favourite band", una di quelle che non e' mai stata al top ma non e' mai tramontata, e nello stesso tempo viene considerata dagli "intenditori" una delle formazioni migliori di sempre. Un classico, di cui pero' molti comuni mortali non hanno mai sentito parlare. Venerati dai rocker piu' trucidi come dai palati piu' fini, dai vecchi come dalle generazioni piu' recenti. E dopo averli visti l'ultima volta nella sauna appiccicosa del Garage, stasera fa uno strano effetto attenderli in questo lussuoso e rinomato teatro in zona Kensington, piu' abituato a signore in pelliccia che a jeans e capelli lunghi. Come sara'? Chi ci sara'?
E ormai dentro, non posso che sorridere allo spettacolo che mi si presenta tutt'intorno: questo teatro cosi serioso e luccicante stasera e' territorio nostro! Accanto ai piu' giovani rocker ci sono esemplari catapultati fuori direttamente da Easy Rider e Spinal Tap, e ovviamente la Londra che conta: oltre me ovviamente (!), Shuff e nientepopodimeno che Mr Wildhearts, si, parlo proprio di Ginger… Coprite di plastica il velluto rosso, strana gente si aggira nelle balconate stasera! Alcuni sembrano impacciati, intimiditi dallo staff gentile e incravattato, ma l'alcool comincia a scorrere e a sciogliere mentre i corridoi della Royal Albert Hall si riempiono, e man mano che si accumulano pinte e bottiglie ci avviciniamo all'ora x.

La band di supporto e' sconosciuta anche agli organizzatori, un tranquillo gruppo di amici che suonano qualche pezzo di vecchio rock'n'roll, cover per lo piu', tanto per scaldare l'atmosfera.
E finalmente scoccano le 9, io e la mia fedele Minolta siamo piazzate in pole-position sotto il palco della fuckin' Royal Albert Hall, dove anche la security e' in giacca e cravatta… Sono emozionata come una quindicenne, che roba ragazzi! Si spengono le luci, trattengo il respiro, gli harleyisti delle prime file si alzano in piedi come fossero in uno stadio texano alla Festa della Birra: arrivano i nostri! Si aprono le danze, con "Hello there" come breve intro, poi "Big Eyes".
Robin Zander e' piu' in forma che mai, in una pinstripe suite sui toni dell'ocra e dell'arancio, mentre Rick Nielsen, in pantaloni di pelle e scarpe da ginnastica, corre a destra e sinistra come sempre. Tom Petersson e Bun E. Carlos completano il colorito quadro, signori, Cheap Trick are in the House!
Si entra subito nel vivo con "If you want my love", uno dei cavalli da battaglia di questi inossidabili camaleonti del rock'n'roll. La melodia si insinua tra le eleganti poltrone, e in un turbine di energia rapisce i presenti e porta in alto le mani… La magia ha inizio, e la Royal Albert Hall non e' che una cornice Deluxe a uno spettacolo che conosciamo ormai bene.

Ultimo pezzo fotografabile e raggiungo finalmente il mio posto, proprio in tempo per la mia preferita… "I want You to want Me!". Lascio che le note mi entrino sottopelle e dritte al cuore, dove resteranno gonfiandosi sempre piu' nelle prossime due ore. Adesso, metallari e poppettari, vecchi e bambini, bravi ragazzi e motociclisti ribelli, chi non si lascia sfuggire almeno un sorriso di gioia e un tip tap del piede con questo pezzo venga avanti che gli controllo il battito cardiaco per favore! Che dono incredibile e' la musica, chi vive senza mi fa davvero pena. Ci sono giorni in cui si scaricano le pile del lettore cd sul bus, arrivi in ufficio e regna il silenzio, di nuovo sul bus, e senti che manca qualcosa, il mondo intorno sembra in bianco e nero. Cibo? Acqua? Sonno? No. Manca la musica. Metti su un pezzo come questo e improvvisamente tornano i colori e le forze. E c'e' gente che invece mette su il telegiornale, o Beautiful, e li riconosci per strada perche' sono quelli che anche quando il tuo mondo si colora rimangono in bianco e nero. Maledetti personaggi, che hanno trasformato questo mondo in un posto dove un artista che tocca vite crepa di fame e un politico che le distrugge vive in una grande casa bianca… Che c'entra col concerto? Parte del turbine di pensieri che mi ha provocato, dovevo condividere come sempre!
E' il momento delle presentazioni. Nei Cheap Trick come sappiamo l'oratore e' Rick Nielsen, che tesse le lodi dei compagni (Bun E. Carlos, una leggenda vivente!), e ci dice che il nuovo album uscira' finalmente il mese prossimo, e stasera ci proporranno alcuni pezzi. C'e' subito una bella power ballad, e poi si torna al vecchio, ma eterno, con "She's tight". Rick ci intrattiene di nuovo raccontandoci gli inizi in un garage di Rockford, Illinois, e si riparte con le anteprime. Questo e' un rock'n'roll sporco che ci ricorda gli Hanoi Rocks, un po' diverso dai classici Cheap Trick ma senza dubbio ottimo. Poi un pezzo piu' melodico e orecchiabile, insomma apparentemente in questo imminente gioiello c'e' un po' di tutto, da non lasciarselo sfuggire. Ci sono sonorita' leggermente piu' attuali, un occhio al mercato non fa male purche' non si rinneghino le origini, e questo decisamente non e' il caso.
E adesso qualcosa che, sempre secondo il buon Nielsen, hanno proposto ad un Festival quando ancora erano belli (!), e visto che non gli hanno tirato niente ci riprovano… "Voices": gli va bene anche stavolta, sfido io. Segue un altro indimenticabile classico, "Tonight it's you", e la versione live, se possibile, e' mille volte meglio del mio cd. O forse e' solo quest'atmosfera, questa gioia crescente che ha ormai pervaso l'aria; lo show di stasera sembra salire verso un apice e non raggiungerlo mai, perche' ogni brano e' ancora migliore di quello prima.

Come "Surrender", esaltante, trascinante, unica, vuoi abbracciare tutto il mondo e ti senti troppo fortunato a essere qui, vuoi saltare sul palco per baciare Robin Zander e urlargli "grazie di esistere" mentre balli a braccia alzate, niente puo' battere "Surrender"! Vero? No? Forse si, se ne vanno sembra… E poi la voce di Rick Nielsen, "Cheap Trick is in the House!". "Questa l'hanno scritta due inglesi, e uno e' qui stasera", e trionfano gli Ottanta del pop e del rock insieme, gli Ottanta della melodia, della semplicita' e del sentimento pre-grunge, con una delle piu' belle ballad di sempre, "The Flame". In alto gli accendini, anche quelli degli harleyisti che in fondo in fondo hanno piu' cuore di Ramazzotti! E se pensate che Zander e soci ci possano lasciare in questo stato lacrimoso, sbagliato, questo e' pur sempre un fuckin' rock'n'roll party… "Dream Police" ci scuote, ci asciuga il viso e ci fa ballare per gli ultimi minuti di questa notte indimenticabile. E' il massimo. Ma solo perche' e' l'ultima. Se avessimo altre due ore si continuerebbe a salire, salire, finche' i cuori inizierebbero a scoppiare come palloncini colorati nel cielo azzurro di primavera.
E invece e' ora di tornare a casa, con un sorriso sulle labbra e sette note nell'anima.
Non posso che concludere questa recensione con un grazie. Grazie a chi ha reso questo possibile (Moreno, Carla, tutti voi che ci leggete), grazie ai Cheap Trick, ma soprattutto grazie a ogni artista in questo mondo per questi doni senza prezzo che chiamiamo emozioni.
Cristina Massei

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CATHOUSE / FUORI USO
Albino (Bg) – Offside 12-2-2003

Cosa c’è di meglio di una buona dose di Rock’n’Roll per scaldare una fredda serata di febbraio? Non potevo davvero mancare visto poi che il locale in questione è a 20 minuti da casa mia…
Aprono la serata i FUORI USO, band di cui spesso si è parlato anche nei Forum di SLAM, soprattutto dopo la loro presenza alla SLAM Nite di dicembre in cui avevano distribuito il loro promo a 2 pezzi molto accattivante (e non solo nella grafica..!!).

Sono circa le 22.30 quando i 4 di nero vestiti salgono sul piccolo palco dell’Offside e la prima sopresa della serata è il suono... pulito, potente e assolutamente insolito per il locale in questione.
L’apertura è "Big Shot Tokyo", uno dei 2 pezzi presenti nel promo e subito lo show si mette nel verso giusto, soprattutto perché nonostante il pubblico non sia certo numeroso, la band spacca che è un piacere..
Ho modo di ascoltare alcune delle canzoni che usciranno a breve in un nuovo ep e credo che davvero ci siano le premesse perché venga fuori qualcosa di competitivo.

La cosa difficile è riuscire a catalogare i FUORI USO... una sorta di Motley Crue periodo "Shout at the Devil" dell’anno 2003, aggressivi ma sempre alla ricerca della melodia come in "Goin’ Fas"t e "Dancin’ in my Fire" (se ho capito bene il titolo...).
Sono MOLTO curioso di ascoltare il nuovo ep…

Non è per niente difficile invece catalogare i CATHOUSE (è non è un offesa…), Street-Glam dei più classici, come le indimenticabili band del Sunset hanno insegnato.
Se non fosse per la temperatura esterna parrebbe davvero di trovarsi in uno di quei club che hanno scritto la storia, anche se bisogna dirlo la proposta dei CATHOUSE non risulta assolutamente datata... anzi.

Logico che cover di bands come Guns’n’Roses e Faster Pussycat mettano di buon umore ma la mia attenzione si è soffermata soprattutto sui pezzi originali della band e da quanto ho sentito siamo davvero sulla buona strada... "Lesbian Night" è molto Poisoniana nell’approccio e dotata di un coretto che ti ficca nella testolina in 3 minuti, "Rock is All You Need" è una dichiarazione d’amore in piena regola, mentre il terzo pezzo di cui non ricordo il titolo richiama vagamente qualcosa di bands come Cinderella o Tesla, soprattutto per quell’intro di slide guitar..

Da rimarcare la prova di tutta la band, DD Cat è davvero un frontman capace di coinvolgere la gente, sezione ritmica precisa e pulsante e chitarristi con tocco decisamente diverso e proprio per questo complementari…
La prossima partecipazione al Glam Attakk è il giusto riconoscimento per una band che non inventerà nulla di nuovo ma che sa come intrattenere e divertire..e questo al giorno d’oggi non è davvero poco…
Federico Martinelli

 

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HANOI ROCKS
Tavastia, Helsinki 31/1/2003

Sono a casa gli Hanoi, al Tavastia e come viziosi padroni di casa si comportano. L’attesa e’ piu’ lunga del previsto, mi sembra di avere aspettato sotto il palco almeno tre ore, ma forse era solo l’emozione…
Fuori si gela, l’ottimistico termometro di Rautatientori segna -19°, ma all’interno la temperatura e’ piu’ simile a quella di un reattore nucleare (!?) e il pubblico e’ isterico, crepitante e molto vario…c’e’ una signora nella toilette che sembra la mia prof di chimica, ha in mano un bicchiere di Koff e continua a strillare PAAAAAAAAAAAARTYYY!!! alle le ragazze che vanno e vengono dal bagno. Dalla prima fila intravedo Andy che sbircia dalla porta del backstage e ha un’espressione soddisfatta. Sembra che tutto sia pronto, ma dobbiamo essere pazienti ancora fino a mezzanotte, quando finalmente tutte le luci si spengono e inizia lo show. Eccoli li’, Andy e Mike, sono in perfetta forma e piuttosto aggressivi: vogliono dare il meglio, e pretendono il meglio dal pubblico, che di certo non li deludera’…

Mike indossa degli improponibili pants con lucine blu e rosse lungo tutta la gamba, e orecchini uguali… sono le uniche luci che si vedono nel buio all’inizio!! Andy invece mantiene il suo look gypsy, e sono felice di vedere che sta davvero bene stasera: non e’ costretto a suonare seduto come lo avevamo visto a Milano, e ha un’espressione davvero rilassata, nonostante l’energia che riesce a trasmettere al suo pubblico.
I primi due pezzi sono Obscured e Delirious, scelta dovuta (credo) proprio al fatto di trovarsi a Helsinki, visto che il nuovo disco qui ha avuto sicuramente piu’successo che nel resto d’Europa. E infatti bastano poche note che il pubblico gia’ e’ al top, e sa tutte le parole a memoria. Seguono Malibu’ Beach Nightmare e Watcha Want, e si scatena l’inferno sotto il palco!! E’ praticamente impossibile sperare di fare delle foto decenti…mahh vedremo! Si prosegue con altri classici, da I can’t get it a Underwater World, fino ad arrivare a una commovente Don’t ever leave me, eseguita in modo struggente ed energico, al punto che Andy a un certo punto cade a terra! Da sotto mi sembra quasi una brutta caduta, ma vedo che si rialza immediatamente e continua a suonare, la gente totalmente rapita da un incantesimo che non avevo mai visto prima. E’ il momento di Boulevard of Broken Dreams, e l’invito di Mike a cantare con lui viene immediatamente accolto da tutti senza la minima esitazione…

Dopo la parentesi di classici si prosegue con altri pezzi da Twelve Shots On The Rock: da People Like Me a Gypsy Boots, da Cafe’ Avenue a Lucky non c’e’ neppure un secondo da perdere, finisce un pezzo e inizia quello successivo, senza un attimo di stacco: gli Hanoi non hanno nessuna intenzione di smettere proprio ora, si continua in un crescendo interminabile, e quando arriva il momento di Tragedy e’ chiaro che quello che hanno da offrire non e’ ancora finito. Il pubblico e’ assolutamente in estasi sulle note di questo pezzo, e Mike si lancia con uno stile perfetto su una folla davvero compatta, che sembra inghiottirlo e non volerlo piu’ lasciar andare. Si sa, siamo in Finlandia, non ci sono security men di nessun genere, e solo dopo un bel po’ che le mani delle persone continuano ad essergli addosso Mike riesce ad arrivare al palco: si siede semplicemente sul bordo e continua a cantare, un ragazzo lo abbraccia strettissimo, qualcuno gli accarezza i capelli. L’atmosfera e’ decisamente intensa, elettrica, il pubblico meravigliosamente compatto e deciso a non lasciarli andare via, ancora per un po’ , cosi’ che quando il pezzo finisce e la band fa per tornare nel backstage nessuno crede sia davvero finita…

Bastano un paio di minuti ed eccoli di nuovo fuori, pronti a regalarci ancora qualche forte emozione: ancora due pezzi storici, Motorvatin’ e’ talmente furiosa e sfacciata che sembra quasi che il concerto stia cominciando di nuovo…anziche’ volgere al termine, e poi Up Around The Bend…quale conclusione migliore? Stavolta sembra che sia davvero finita, Andy e Mike salutano, tornano nel backstage, ma il pubblico e’ talmente preso, ipnotizzato e iniettato dal suono degli Hanoi che ha davvero bisogno di un’altra dose prima di rassegnarsi all’idea che deve tornare a casa. Bastano pochi minuti di attesa e loro sono di nuovo li’, pronti a regalarci l’ultimo pezzo, qualcosa di veramente chill out stavolta…qualcosa che permetta loro di concludere lo show. Le prime note di In My Darkest Moment riempiono la sala, bellissima conclusione, e la gente vive con trasporto ogni singola nota, ogni singola parola di questa canzone, lasciandosi cullare verso la fine. E’ finito. La band esce di scena, ma ci vuole ancora un attimo prima che la gente cominci a disperdersi…io sono assolutamente rapita, come tutti credo, ma non e’ ancora finita per me. Dopo un po’ riesco a intrufolarmi nel backstage! Inutile dire che mi sembra davvero impossibile, e invece sono li’, Mike mi offre un drink, e ne approfitto per chiedere a Andy del famoso disco con Seb Bach…si vede che e’ a pezzi dopo lo show, parla nel suo modo strascicato e molto lentamente, come tutti i finlandesi, ma mi dice che crede che quel disco non vedra’ mai la luce, anche se gli dispiace perche’ secondo lui c’erano degli ottimi pezzi. Non lo disturbo oltre perche’ vedo che vuole solo andarsi a sedere, vedo la ragazza di Mike ma non Angela…e vedo Ville, gli parlo cinque minuti, e’ sempre gentilissimo e molto disponibile con tutti e mi dice che al momento sono impegnatissimi nella registrazione del nuovo album.
E’ il momento di tornare a casa, e devo anche sbrigarmi se non voglio rimanere bloccata nel gelo di una meravigliosa notte finlandese…
Glammie69

Pouty LipsPouty LipsPouty LipsPouty LipsPouty LipsJayne County

 

TOILET BÖYS
live @ Hiroshima Mon Amour – Torino 1 febbraio 2003

Sono passate poco più di 12 ore da quando sono rincasato dal concerto, e sono ancora eccitato e arrapato, manco fossi stato in vacanza a Sodoma & Gomorra! E il CD dei Toilet boys gira in loop nello stereo da quando ho aperto gli occhi... succede di rado, ma quando capita ringrazio che esista questo folle circo colorato e dalle mille contraddizioni.
Ed era incominciato tutto in modo piuttosto blando, mi ero infatti avvicinato al concerto con il sangue ancora avvelenato dal concerto-buffonata dei MISFITS della sera precedente, e onestamente dei Toilet Boys avevo solo ascoltato distrattamente le prime uscite, che non mi erano per nulla piaciute.
La cosa positiva è vedere che ogni tanto la motorcity esce dal suo letargo e rispolvera la carrozzeria, biglietto di ingresso a soli 8 euro e tutti i rocker locali e in trasferta accomodati in prima fila sotto al palco. Entra la band, la schiena al pubblico, chitarre rivolte verso gli ampli e una immagine glamour trash degna della città da cui provengono (NYC of course), e capisco che sta per accadere qualcosa che ricorderò per un pezzo.

I Toilet Böys incominciano a suonare come delle furie, sciorinando onciate di classe dalle prime plettrate, e poi entra sulla scena lei, pardon lui, oppure lei... ma che cazzo importa?!? Miss Guy fa il suo ingresso sul palco e si candida ad entrare nel regno dei frontman più sensuali, carismatici e divertenti del glam punk. Classe è la parola d’ordine, perché a dispetto dell’immagine così forte e sessuale, Miss Guy si rivela in primis un abile cantante, ma soprattutto un magnetico mattatore, si rivolge al pubblico, scherza, sculetta, regala un paio di slip della band, senza mai dare l’impressioe di recitare una parte. This is for real. Dopo il concerto il nostro si concede (ehm!) al pubblico, restando a chiaccherare con savoir-faire con i presenti per quasi tre ore, mentre il locale è affollato dai ragazzini alternativi che ballano sbronzi la musica di merda della MTV – generation.

Ma torniamo al concerto. “Party Starts Now”, la festa inizia e alle mie spalle arriva uno Sweet (POUTY LIPS) su di giri che mi guarda e dice: “Wayne County! Fantastico.”, e non posso che associarmi. Miss Guy indossa una tuta che dopo pochi minuti lascia il posto a calze a rete e mutandine, Sean imbraccia la sua Washburn customizzata con tanto di forcone e si agita come un demonio, e i puro Ace Frehley-style, fa partire dalla sua chitarra razzetti e scintille. I Toilet Böys sono perfetti nell’incarnare tutti gli elementi della scena di NYC: la confusione sessuale delle NEW YORK DOLLS, il rock’n’roll spettacolare e pirotecnico dei KISS, e la furia punk rock di RAMONES e D-GENERATION. Rocket all’altra chitarra sforna un riff dietro l’altro e si spara una serie di pose da manuale quando sale sulla pedana che va verso il centro del palco, Eddie alla batteria non perde un colpo, ed ha lo stesso sguardo allucinato delle foto del booklet, mentre Jimmy percuote il suo bellissimo Thunderbird e salta come un grillo (ahah lo sapevate che fa Grillo di cognome? Come Rocket è d’origine italiana!), i capelli sugli occhi e un look perfetto, un viso vagamente simile a Tracii Guns, e un taglio di capelli à-la Jussi meets Nikki Sixx... roba da fare gongolare un fashion boy come il sottoscritto!

I pezzi si susseguono urgenti e ammalianti, dietro alla band esplodono fuochi d’artificio, ma alla pit viene riservato un trattamento d’onore, dai manici di chitarre e basso incomincia a partire una cascata di scintille che ci casca addosso, e mentre indietreggio sento la schiena che brucia e odore di capelli striati! Impressionante l’assolo di “Millionaire”, durante il quale Sean da fuoco alla sua chitarra, e in “You Got It”, da vero circus-boy, regala al pubblico uno spettacolo da mangiafuoco.
Siamo tutti eccitati, la band ci ha ormai inesorabilmente in pugno, e con “Saturday Night” è l’apice, nessuno riesce più a stare fermo e a non cantare... Miss Guy chiede se vogliamo sentire una song dei KISS oppure dei RAMONES, e dopo una gara di boati che finisce alla pari, inarca le sopracciglia e sorridendo esclama “Oh, e va bene, le facciamo tutte e due!” e così il concerto viene concluso da due cover al fulmicotone di “Blitzkrieg Bop” e “Deuce”.
La fine arriva troppo presto, il banchetto del merchandising viene preso d’assalto (ho visto un arrapatissimo Mr. Morrone comprarsi una bellissima maglietta!!) e tutti vanno a farsi le foto con la band, che si mostra affabile e così gentile e tranquilla da mettere quasi in imbarazzo. Miss Guy sorride al mio amico Efi e gli dice che assomiglia molto a Vince Neil, rendendolo felice come un bambino! La festa termina al mattino alla discoteca rock Faster (io non sono andato, chissà che han combinato...) e dopo aver salutato la combriccola imbocchiamo la strada di casa. In macchina, manco a dirlo, il CD dei Toilet Böys... Fantastici.
Simone Parato

Spotlight on Wayne (Jayne) County

Vi state chiedendo chi diavolo sia Wayne County? Ho passato la domanda a Sweet Mauro, che con gran gentilezza e velocità ha scritto le seguenti righe:

Wayne County era un ragazzo che dalla profonda provincia americana riuscì a diventare personaggio chiave della trash-scene newyorkese e più tardi icona punk di tutto rispetto.
Wayne era un adolescente depravato-arrapato che girava con i sissy boys per le strade della sua città di provincia, realtà che ben presto cominciò a stargli stretta, tanto da spingerlo a fare armi e bagagli verso la babilonia del vizio e della depravazione: New York.
Ben presto entrò a far parte del giro più vizioso della New York di allora, fine anni '60, cioè quello che si era sviluppato attorno ad Andy Warhol, giro fatto di drag-queens, travestiti, tossici e degenarati di ogni genere, insomma, il "nostro" andava in giro e si toccava con drag-queens del calibro di Holly Woodlawn.

L'amore per il rock'n'roll si fece però sentire presto, infatti Wayne a partire dai primi anni '70 ricoprì il ruolo di DJ fisso del Max's Kansas City, locale culto della trash scene newyorkese, frequentato da tutto l'ambiente underground ma anche da personaggi come Jane Fonda, Warhol stesso e i Velvet Undergound. Il nostro era inoltre chiamato a mettere dischi prima dei grandi eventi, insomma prima che le Dolls salissero sul palco toccava a lui scaldare l'atmosfera.
Parallelamente alla sua attività di Dj c'era quella di cantante nel suo gruppo personale, i Queen Elizabeth, attrazione fissa del Mercer Arts Center, ed è inutile dire quale fosse l'immagine proposta da Wayne, che ormai aveva preso completamente coscienza delle sue depravazioni: tacchi alti, capelli biondo platino, reggicalze, trucco pesantissimo e boa di struzzo a strafottere. Cosa più importante però è che la sua non era solo una scelta di immagine, Wayne si sentiva donna a tutti gli effetti ed era naturale per lui proporsi in quel modo.
Intanto gli anni passano, arriviamo alla seconda metà dei '70, la scena si sposta dal Max's Kansas City al CBGB's e anche la musica cambia, vengono abbandonati i fronzoli del glam e si passa al punk. Come disse Bebe Buell: "Il momento in cui Joey Ramone buttò via la pelliccia per indossare il chiodo ebbe sulle glam bands lo stesso effetto che ebbero i Nirvana sulle hair bands".

Anche il nostro si adegua alle nuove tendenze, fino a prendere parte attivamente alla scena punk, ma senza mai abbandonare il suo travestitismo e le sue provocazioni-divagazioni sessuali. Wayne nel '77 parte addirittura per Londra per godersi il punk da vicino e per cercare un po' di gloria con la sua nuova band, gli Electric Chairs. La formula è questa: Wayne si presenta sul palco come un ibrido, un essere nè uomo nè donna coperto da una tuta da metalmeccanico, che prontamente durante il concerto si toglie per mostrare le sue grazie abbellite da autoreggenti, corsetti e slippini.
Da questa attitudine alla coronazione del suo sogno il passo è breve : Wayne si sottopone all'operazione del cambio di sesso per passare definitivamente a Jayne County, continuando a suonare rock'n'roll anche da femminuccia.
Oggi la nostra bella girovaga ancora per i clubs di New York City e viene fotografata assieme alle nuove leve del glam-trash-rock'n'roll della grande mela e proprio Miss Guy riferì in un'intervista che dopo un colloquio con la regina della sconciaggine sessuale lei gli disse che l'unico posto che può ora assomigliare al Max's Kansas City è lo Squeezebox.

Le somiglianze palesi che ho notato tra Miss Guy e Jayne County sono appunto nella proposta dello spettacolo (vestiti, capelli, travestitismo) ma è da notare anche la riproposta temporale di un certo modo di essere che era stato chiaramente di Wayne County e che la grande mela ha fatto in modo di farci riavere in versione naturalmente ringiovanita... Per questo mi viene da dire che Miss Guy è un po' la Jayne County dei giorni nostri.

Questo è quanto Bad Boy.....
Sweet Mauro

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D-A-D + Tim Christensen
London, Shepherd's Bush Empire - 15 Dicembre 2002

Ennesimo gig segreto londinese, non perche' queste fossero le intenzioni ma perche' per qualche oscura ragione questo concerto non avuto nessuna, dico nessuna promozione. Fortuna vuole che ci sia gente come il solito Shuff che legge minuziosamente i listings di ogni club, e seppure incredulo ha chiamato l'Empire per conferma. E' cosi che in uno dei miei regolari sabati sera al Decadence vengo assalita con la notizia, e ho meno di 24 ore per prepararmi tecnicamente, fisicamente e psicologicamente e per diffondere la parola nella locale comunita' rock. Signori, uno degli eventi che molti di noi hanno atteso per anni sta per avere luogo, e stavamo per perderlo: dalla Danimarca con ardore, i D-A-D!

Lo Shepherd's Bush Empire e' un ottimo venue, un teatro che ha ospitato di recente Bon Jovi per la sua prima esibizione da club dopo anni di arene, e l'occasione e' la celebrazione del Natale danese; a ulteriore riprova dell'immensita' numerica della comunita' scandinava a Londra, la serata non e' sold out ma decisamente gremita. Tra pinte di birra e facce slavate e allegre faccio la conoscenza del disponibilissimo manager Christian e mi appresto a seguire l'artista di supporto, Tim Christensen.
Rock ma di quello rilassante, da ascoltare di sera davanti al fuoco con la persona del cuore, una chitarra e una pinta di buona birra, decisamente buona per scaldare l'atmosfera mentre il locale lentamente si riempie.

L'ora tanto attesa sta per arrivare. I roadies montano il palco, e lo show inizia gia' da qui: c'e' alle spalle il gigante ariete vecchio simbolo dei Disneyland After Dark, ma non e' una foto, e' reale e pesante, mi dicono gli addetti ai lavori; la batteria di Laust Sonne si erge rialzata nello sfondo letteralmente avvolta di piume bianche. 17 anni dopo il primo "Call of the wild", la band danese si prepara a ricompensare degnamente l'attesa di molti.
E finalmente lo storico quartetto fa il suo ingresso sul palco: Jesper, Jacob, Laust e il mitico Stig al basso sparano subito adrenalina con "Evil Twin" dall'album "Everything glows" e ci trascinano nel cuore del rock'n'roll con l'ottima "Road below me"; il pubblico e' gia' in delirio.

La solita domanda, come e' possibile che certe band siano rimaste una chicca per intenditori del genere, consacrati star nel loro Paese ma pressoche' sconosciuti alla stragrande massa, mentre Limp Bizkit continua a vendere? C'e' qualcosa che non va in questo mondo. Speriamo almeno i Danish Music Awards a cui sono quest'anno candidati gli rendano parziale giustizia.
"Reconstrucdead" e' un po' piu' classic, e siamo finalmente all'ultimo lavoro dei D-A-D con la title-track "Soft Dogs", splendida ineccepibile blues ballad che dovrebbe scalare classifiche in c***o a Eminem e alla neo-fidanzata di Fred Durst (si, la cara Britney per chi non lo sapesse...). E sempre da questo album che vi straconsiglio se non lo avete ecco "-So What?", che inizia come una ballad per poi esplodervi in faccia insieme alle corde del basso di Mr Pedersen, che continua a suonare con due: non era una leggenda allora!

Ed e' "Everything glows", fuoco nelle vene, l'Empire canta tra fiumi di birra e ringrazia Babbo Natale; si prosegue nell'esplorazione dell'album anno di grazia 2000 con "Something Good", ballad al cento per cento che esalta senza vergogna le corde vocali blues di Jester, e noi ci lasciamo cullare e scaldare.... Ma non c'e' tempo, un'altra perla del secondo millennio ci risveglia a tempo di rock'n'roll, e' "1900&yesterday", navigandoci di nuovo ai nostri giorni, con "Un Frappe Sur La Tete" che di francese non ha proprio nulla! Scintillante pezzo di rock'n'roll che ci cattura per poi farci sorridere in un finale reggae, e indietro ancora, rewind fino a "Simpatico", perfetta fusione di rock e blues sottolineata ancora dai cori del pubblico; e da qui e' un treno in corsa senza freni, pieno di pazzi passeggeri tesi fuori dai finestrini senza paura di schiantarsi, occhi spalancati e folli sorrisi, cantando a squarciagola "Jihad" e "Bad Craziness" mentre ci avviciniamo inesorabilmente alla fine... di questo indimenticabile concerto.

Un'ora e' passata come fossero dieci minuti, vorremmo poter tornare indietro ma poi vogliamo anche andare avanti, perche' sappiamo che sta per arrivare, siamo incredibilmente vicini a quei cinque minuti che abbiamo continuato a immaginare da ieri sera. In confronto all'intensita' del prossimo brano, il sogno vissuto nell'ultima ora non e' che un'introduzione. Bum, si illuminano per l'ultima volta di rosso gli occhi del grande ariete, poi la sagoma, e poi fu la luce, bianca come le piume della batteria di Laust, luce tutto intorno, note di chitarra accompagnati dal battimani del pubblico; per tutta la prima strofa Jesper passa il testimone ai fedelissimi dell'Empire, poi riprende il microfono per cantare insieme a noi "Sleeping My Day Away", e se fino a qui non avevate intuito di che stavo parlando cambiate sito e andatevene su Kerrang per favore.

E da veri gentlemen, i magnifici Disneyland After Dark ci danno modo di calmare l'orgasmo finale con il caldo abbraccio blues della conclusiva "What's the matter", cosa vuoi di piu'? La risposta e' ovvia: un'altro di questi show, anzi cento, possibilmente domani, o anche ora!
Mentre abbraccio Shuff e medito sull'opportunita' di un viaggio in Scandinavia, seppur ringraziando la mia Londra per queste sorprese ultragradite, vi saluto e vi invito ad acquistare di corsa "Soft Dogs" e a tenere d'occhio www.D-A-D.dk per una prossima data vicina a voi...
Cristina Massei

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QUIREBOYS + THUNDER
London, The Marquee - Mercoledi 28 Novembre 2002

In molti continuano a chiedermi, “Perche’ Londra? Con quel tempo e quella vita frenetica!”... Eh si, vivere a Londra significa riprenderti il tuo ombrello alla fine di una giornata di lavoro e correre sotto la pioggerellina inglese, significa precipitarsi giu’ dalla scala mobile per imboccare la prima “Tube”, e in tutto questo non e’ ancora ora di andare a casa al calduccio come voi fortunati milanesi! Perche’ vivere a Londra significa anche avere un’amica rompic***ioni come la Vik che ti chiama in ufficio quando pensi che la giornata stia finalmente volgendo al termine per dirti “Dude!! Gig segreto di Quireboys e Thunder al Marquee, ci becchiamo alle 7??”. E tu, che gia’ pregustavi un piatto caldo e la TV, non puoi che restare ancora una volta senza cena, chiederti perche’ non sei rimasta in Italia, arrivare davanti al figlio del vecchio glorioso Marquee e trovare la risposta: la leggi sulle solite familiari facce accalcate al bar, nel sorriso della Vik, negli occhi luminosi di Spyke che finalmente irradiano il palco, incorniciati da quel logo che puzza di birra e di storia.

Ciao Londra! Ora come allora, e speriamo per molti anni a venire, i Quireboys riempiono il Marquee, e se nei magici Ottanta era bastato il passaparola, stavolta e’ bastato passarla sottovoce in mezza giornata. Hey, non e’ figa ‘sta storia del gig segreto? Ti senti un po’ parte di una setta, di un (mega) gruppo eletto. Peccato sia così segreto da non permettere testimonianza fotografica, ma perche’ pensate che noi del mestiere impariamo a farle senza flash??...
L’esibizione dei Quireboys supera di gran lunga quella di supporto ad Alice Cooper per durata ed atmosfera, e’ rock’n’roll al suo stato piu’ puro, voce roca, fumo, aroma di legno e lager, jeans e bandanna, “It’s only rock’n’roll”, God Bless!
Il pubblico si abbraccia, canta e balla, in una surrealistica catena di sudore e sorrisi. E ancora una volta, di fronte al logo “Marquee”, al sempreverde Spyke, a questa folla di adulti tornati teen per un’altra notte, con il caldo blues di “Hey you” nel cuore, mi ritrovo nelle mie fantasie dylandoghiane, a chiedermi se tanto discusse dimensioni parallele e porte spazio-temporali non siano sempre state in realta’ davanti ai nostri occhi... o dovrei dire orecchie?

Spyke ci mostra una cicatrice sul torace: “Vedete? Lei mi ha spezzato il cuore... Hey, quelli del vecchio Marquee ridevano, dovete ridere anche voi!” E non c’e’ dubbio, perche’ noi SIAMO quelli del vecchio Marquee. E si ride, e poi si piange: e’ ora di “I don’t love you anymore”. E quando, dopo anni di concerti, viaggi, emozioni e delusioni, pensavo non potesse piu’ succedere, quando temevo ormai che davvero diventare adulti significasse che una bella canzone e’ solo “una bella canzone”, la sento tornare, lenta dai miei occhi lucidi giu’ per il viso... Grazie Spyke per avermi ridato una lacrima, non di tristezza e forse neanche di gioia, come spiegarla? E’ il frutto di una vibrazione collettiva, di una folla che canta, di un uomo che ancora crede.

“Here she goes again”: si, eccomi, ce l’ha con me che sto andando di nuovo fuori dalle righe! Asciughiamo la lacrima ed e’ ora di ballare, e’ ora per gli zombie del Marquee di conquistare la citta’, tremate finti vivi, perche’ dopo questa carica noi non ci arrenderemo ai System of a Down!! Anzi, a niente che sia “down”, perche’ dopo una carrellata di Quireboys vecchi e nuovi l’adrenalina non la spegni neanche con l’estintore! Caldo, appiccicoso Marquee, ora come allora, col sudore che ti entra negli occhi e non te ne frega niente, perche’... perche’ “it’s time for the party”, “7 o’clock” in codice Spyke, fans di Limp Bizkit per favore lasciate l'aula, non e' roba per voi, che non sapete neanche cos'e' un party. Men che meno cos'e' un "Sex Party", perche' siete anche esteticamente ripugnanti e sessualmente repressi. Tristi. Inutili. Tenetevi gente come Eminem che chiama un tour "Anger (rabbia) Management" e lasciateci ballare, in questo nostro datato mondo di colori e melodie.

E purtroppo il tempo vola ed e' giunto il tempo di salutare i Quireboys e asciugarsi il sudore. In attesa dei Thunder si va tutti verso il bar, e retrocendo notiamo che alle nostre spalle c'e' stato un parziale cambio di scena tra il pubblico: ora la generazione prevalente e' quella ancora piu' vecchia, siamo proprio tornati a mullet e motociclisti. Io e i miei coetanei ci scambiamo occhiate divertite e incredule, ci chiediamo dove tutti questi ultra-quarantenni siano stati rinchiusi finora e come abbiano saputo di un gig teoricamente segreto. Mi dicono attraverso fan club, e seppure i Thunder non siano i miei preferiti un seguito cosi fedele ha la mia piu' totale ammirazione.

Effettivamente, quando la band sale sul palco ci sentiamo un po' fuori luogo. So che sicuramente ci saranno fans dei Thunder tra i nostri lettori e mi scuso, ma non e' proprio il mio genere. Il vocalist sembra appena uscito da "Il Vizietto" e il resto della band da "Spinal Tap", e a parte i classici che tengono per il gran finale la maggior parte dei pezzi non mi sono familiari. Uno a uno gli "over30" abbandonano il campo e lasciano rispettosamente spazio agli "over40". Non e' il nostro party, eppure restiamo per oltre meta' concerto per godere l'atmosfera "pensionati in gita". Di primo istinto ti viene da pensare che l'accoppiamento non ha senso, ma riflettendoci meglio il nesso c'e': il Marquee con questa serata decisamente revival ha fatto un bel regalo non a una ma a due generazioni, e tenendolo come gig "segreto" ha fatto si che il pubblico riunito stasera fosse quello piu' fedele, coloro che sull'onda dei ricordi avranno avuto piu' di un brivido sulla schiena e ricorderanno queste due ore per molto, molto tempo.
E' ora di andare; do' un'ultima occhiata all'audience festosa dei Thunder e mi chiedo, caro il mio Dylan Dog, quanto ancora indietro questa grande macchina del tempo che e' la musica potrebbe trascinarci se solo tutti avessimo il coraggio di crederci...
Cristina Massei

Pouty Lipsthe SpookThee STP

 

Glam Horror R'n'R Nite
23 dicembre 2002 - Baylonia, Ponderano (BI)

Il Babylonia, ex-locale leggendario e cuore della musica live del nord Italia, era sprofondato in un triste torpore negli ultimi tempi. Dove il Rock 'n' Roll un tempo ruggiva e dove gli Hellacopters delle origini, quelli con Dregen, avevano mosso i primi passi sul suolo Italico, ora c'è posto solo per gruppetti italiani di second'ordine, tribute band, reggae e immondizia di vario genere.
Di conseguenza una serata come quella del 23 dicembre non può essere che uno splendido regalo anticipato per individui che, come il sottoscritto hanno un cuore che pompa riff, sudore e attitudine abbondante come la vaselina sul set di un porno movie...

Ad aprire le porte della Babylonia Rock sono le leggendarie puttane glam del vercellese, i sempre più scintillanti, sempre più arrapanti e sempre più erotici Pouty Lips. Il loro show a base di cori ultracatchy, riff presi di peso dal glam rock settantiano di Sweet e New York Dolls e una presenza scenica da far bagnare le mutandine persino alla più frigida delle signorine presenti, è oramai una certezza... "Sfregiami", "Little broken toy", "Dangle up your feet" e le più recenti "Let me light", "African Size", "Teenage Pills" sono piccole gemme di rock anfetaminico e attentissimo al riff perfetto.
Infine come non amare un gruppo che tra le proprie cover inserisce "Personality Crisis" e "Harder They Come" (in una versione incredibilmente "Johnny Thundersiana")? Peccato per i suoni imperfetti e legnosi del Babylonia che sacrificano un po' l'impatto del quintetto...

A seguire appaiono i tedeschi The Spook. Ammetto di averli accolti con aspettative piuttosto basse e di averli liquidati come cloni dei Misfits ma sono ben felice di essermi sbagliato...
Sono truccati poco e male, il singer è un patatone pelato con un cappellaccio anni trenta in testa, il resto della band ha il fascino fisico di una colonia di scarafaggi ma la musica, beh quella colpisce. I pezzi, quasi tutti dal loro album di recente uscita, sono un possente miscuglio di energia punkeggiante, vocals basse e da crooner (molto alla danzig degli esoprdi in effetti) e melodie rock semplici, ficcanti e deviate.
Dopo poco il gruppo inizia a far saltellare i presenti e pure il sottoscritto non riesce s a trattenersi dal battere piede, testa, tutto il
corpo, tanto è il potenziale trascinante di questi laidi crucchi (Che nel backstage si riveleranno dei puzzoni viscidissimi ma questa è un'altra storia...). Notevoli, anche se la somiglianza coi Misfits è abbastanza forte da relegarli nel limbo dei gruppi molto bravi ma senza personalità abbastanza spiccata, non ancora almeno...

Per concludere ci sono loro, i pupilli della scena rock italiana, gli STP. La band suona da anni e ha supportato le stelle più famose dello scan rock. Ha abilità sul palco e tecnica, attitudine e la grinta possente che solo chi è un vero musicista fino al midollo sa avere. In più, anche di fronte ad un pubblico decisamente sparuto come quello di questa serata, danno il massimo.
Il loro problema semmai è, come dire, nel manico. Le loro canzoni, sia quelle più classiche che le nuove e persino le cover sono estremamente difficili da distinguere per chi non li conosce bene... "Back in Black" degli AC/DC viene eseguita alla velocità di un treno e pare un pezzo dei loro gemellini Gluecifer, "Vietnamese Baby" delle New York Dolls è quasi impossibile da riconoscere... Il loro sound è ormai standardizzato, potente ma carico di deja vu, insomma molto simile a quello di centinaia di gruppi che cavalcano il successo di acts più famosi come Hellacopters o i sopracitati Gluecifer. Un pizzico di Motorhead, un pizzico di MC5, molto Ramones (Ai quali gli STP devono anima e cuore), look in stile "Fifties" con basettoni e vestitit a puntino... Sono una band che può molto e probabilmente ha un buon futuro davanti ma non riescono a colpirmi al cuore più di tanto. Forse la colpa è mia ma il vero calore e la vera nima del Rock sono altrove...

In sintesi una serata piacevole ma poco apprezzata dal pubblico che, tristemente, diserta il sano rock 'n' roll... Troppa poca gente per sperare in un seguito... Ma chi lo sa, incrociamo le dita coperte di smalto!
Andrea Costanzo

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