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Sex party!!!Jany JamesDecadenzaHollywood KillerzKrysNoWayOutAlex & Rob

 

Rock’n’Roll Damnation
Jany James – Decadenza – Hollywood Killerz – Krys – No Way Out
23 Maggio 2004 Circolo degli Artisti - Roma

Io odio le recensioni. Specie quelle dei concerti. Che senso ha raccontare il concerto ad uno che non c’era, come fai a trasmettergli le sensazioni che hai provato durante quella serata? Non sei potuto venire? Fanculo, cazzi tuoi!
Ops, scusate, avevo dimenticato di disinserire il Deadend-mode che mi rende cattivo, intollerante e insopportabile, meglio tornare me stesso e cercare di raccontare a chi non c’era (dato che il 90% degli slammisti non abita a Roma e neanche nei dintorni) cos’è stato questo Rock’n’Roll Damnation.

Innanzitutto, è stata una scommessa: prendere in affitto un locale, uh, “prestigioso” (magari guardando le foto vi verrà da chiedervi se una tal bruttura coi mattoni a vista merita tale aggettivo, ma purtroppo è così!), portare a Roma due delle più valide rock’n’roll band italiane (Jany James e Hollywood Killerz), affiancarle ad una realtà consolidata (Decadenza), una band in crescita (Krys) e degli esordienti totali o quasi (No Way Out), questi ultimi indiscussa rivelazione della serata.
Ma andiamo con ordine: saputo che gli Hollywood Killerz sarebbero arrivati sabato sul tardo pomeriggio (mentre Jany James & co. la domenica stessa), la mia verve organizzativa ha deciso che andava creata una serata memorabile insieme alle altre bands e gli slammisti romani; e per fare in modo che fosse davvero memorabile bisognava farla in un posto che incarnasse la romanità più pura… avete presente la romanità pura? Beh, doveva essere PIU’ pura! E quindi, dopo una travagliata ricerca interiore durata un intero quarto d’ora, la mia mente raminga è uscita dal Grande Raccordo Anulare e si è diretta verso i castelli romani: non a casa di J. Revolver, ma in quel di Ariccia, posto rinomato per le sue “fraschette”, delle specie di osterie tamarrissime dove ci si abbuffa di porchetta (carne di maiale) e romanella (un vino dolce e frizzante, immaginate di sottrarre le fragole al sapore del fragolino… bravi, avete capito!). E poi? Tutto qui? Nossignori, ci voleva un posto magari meno caratteristico, dove stare tutti insieme e sbronzarsi come zio Mick Mars comanda, e la scelta è caduta sul Rockness, pub rock-metalleggiante con vista sul lago di Nemi, poco distante dal posto scelto per la cena-senza-esclusione-di-colpi.

E così, con un ritardo che neanche gli Intercity nostrani, alle UNDICI siamo tutti intorno alla tavolata: quasi trenta fracassoni a gozzovigliare nel nome del rokkeroll, con gli esponenti della Mötörcity Mafia costretti a mettere da parte il campanilismo per ingozzarsi di buon grado con porchetta, salsicce, mozzarella di bufala e altre cibarie a tema. Finita la razzia, euforici e già belli carichi ci dirigiamo al Rockness: tra fiumi di birra, videoclip anni ’80, racconti ineguagliabili der Jonna, sighe, fidanzate dei chitarristi dei Krys che accusano clamorosamente gli effetti dell’alcol, altre sighe, sganasciamenti dalle risate, foto a tradimento, tentativi di convincere gli altri presenti a venire la sera successiva a vedersi il concerto, ancora sighe, scambi di consigli tecnici sull’uso della piastra per i capelli, ammirazione degli svariati cimeli esposti nel pub (su tutti: il calendario di Padre Pio e la locandina di “Squadra Antitruffa” con Tomas Milian), facce assenti e sguardi persi, si fanno le tre e mezza e veniamo *gentilmente invitati* ad uscire dal locale, “possibilmente senza far chiasso”. Chi vi scrive è tornato a casa alle 5 passate, conscio del fatto che il Rock’n’Roll Damnation doveva ancora iniziare, ma già lesso come poche altre volte!

Arriviamo a domenica, dunque, e apre che io non fossi il solo ad essere lesso, viste le facce degli altri!!! Comunque, dopo un pomeriggio non privo di inconvenienti tecnici e dell’ormai cronico ritardo che aleggia su tutte le fasi del festival, alle 21.45 mi devo sbrigare a finire la mia pizza perché i No Way Out stanno salendo sul palco; ero parecchio scettico circa questa band, per il semplice fatto che non si erano mai sentiti in giro per concerti, quindi sarebbe stato il loro primo live dopo parecchio tempo… beh, se durante il soundcheck mi avevano ben impressionato, il loro live show mi ha conquistato!!! Maxl è un buon frontman che pecca solo nel presentare i pezzi in inglese (eddaje, su! Non lo fanno più neanche gli Hollywood Killerz!), Jackie Revolver un ottimo chitarrista sia dal punto di vista tecnico che della scena, e anche la signorina Malibu all’altra sei corde fa la sua parte; davvero poderosa poi la sezione ritmica dell’indiavolato Jamaika e di Fun Boy (che riesce a rompere una corda del basso sul primo pezzo: B-R-A-V-O!). Le canzoni? Un incrocio tra i GnR old style e gli Slash N' Snakepit, catchy il giusto grazie a dei cori ben fatti da parte dei succitati Fun Boy e Revolver. Promossi, ragazzi!

Rapido cambio di palco, e tocca ai Krys: cosa posso dire di una band che ho già visto 4 volte negli ultimi mesi? Non molto, anche perché – mea culpa – seguo un po’ distrattamente lo show, preso ad alcune incombenze organizzative e dal salutare vari amici & conoscenti che finalmente cominciano ad arrivare al Circolo Degli Artisti. A mio avviso, Chris & co. hanno suonato meglio del solito, ma ci sono ancora luci ed ombre nei loro pezzi e nell’esecuzione: eppoi continuo a non mandar giù quelle influenze quasi hard core sia nel cantato che nella musica, che tra l’altro temo siano assolutamente involontarie! Piacciono comunque “Take Me Away” e “Sly Girl”, e purtroppo il ritardo finora accumulato costringe i nostri a tagliare quello che considero il loro pezzo forte, ovvero “I Love You”, e arrivare subito alla chiusura, affidata a “Run Rabbit Run” degli Smack. Il pubblico sembra comunque aver gradito dato che, complice forse anche il prezzo rasente il free ‘n’ easy, hanno venduto un casino di cd!

Il locale è praticamente pieno quando i miei mafiosi preferiti salgono sul palco e danno fuoco alle polveri: la terremotate “Hittin’ The Star” apre il devastante Set dei torinesi Hollywood Killerz, che ci offrono una performance davvero memorabile! E’ la terza volta che li vedo: la prima avevano un suono indegno (colpa di un locale non adibito a musica live), la seconda (qualche mese fa al Glam Attakk) si erano esibiti con un batterista di fortuna rimediato IL GIORNO PRIMA, che naturalmente non poteva dare il tiro giusto ai pezzi; ma stavolta, come si dice a Roma, nun ce so’ santi ne’ madonne, e i nostri offrono quella che probabilmente è stata la miglior esibizione della serata, dovuta alla fortunata combinazione di uno stato di grazia dei nostri, del già menzionato folto pubblico e di un sound praticamente perfetto! E così i nostri ci colpiscono senza pietà con le loro poderose composizioni, tra cui spiccano “Goin’ Down” (il vostro miglior pezzo, ragazuoli!), “Lovecrash”, “Obsessed” e “Radio America”; due cover azzeccate, la tiratissima “Look At You” dei Backyard Babies (con una gran bella partecipazione del pubblico) e la conclusiva “Holyday In The Sun” dei Pistols. Che dire… bravi, bravi, bravi, se poi vi foste portati anche semplicemente dei pessimi cd masterizzati, li avreste venduti tutti – Alex mi informa che un casino di persone ha chiesto di voi allo stand del merchandising!

Ed eccoci al turno dei Decadenza, band apparentemente atipica dato il cantato in italiano, ma che invece non risulta affatto fuori contesto; l’opinione di chi scrive è che l’innesto del Jonna alla seconda chitarra abbia giovato enormemente alla band, aggiungendo sia corposità che quel pizzico di rock’n’roll in più al loro sound; per il resto, conosco ancora poco i pezzi della band (ce l’avete un cd da darmi?) per poter dare un giudizio completo, ma comunque Killo (voce), Scarfaxxxe (basso), KLN69 (nella doppia veste di aiuto-fonico e batterista!), LN1 (chitarra) e il succitato Jonna hanno regalato un ottimo set, peccato solo che per esigenze di orari hanno tagliato le previste cover di “Malibu Beach Nightmare” (Hanoi Rocks) e “Whole Lotta Rosie” (Ac/Dc)! Una gran bella band che merita la vostra attenzione, forse un pelo meno immediata delle altre, ma di sicuro valore!! Il pubblico, comunque, sembra apprezzare anche se a causa del ritardo accumulato, quando i nostri scendono dal palco è mezzanotte e mezza passata e la gente inizia a scemare…

…ed è veramente ridicolo il numero di persone che accoglie l’ingresso sul palco della band di Jany James, un vero peccato! Ho apprezzato moltissimo il cd “Rock’n’Roll bandit” e sapendo anche che i nostri affiancano ai brani propri delle cover che incontrano il mio gradimento, è stato un vero peccato che la performance sia stata pesantemente penalizzata da una serie pressoché infinita di problemi tecnici, la maggior parte dei quali al microfono di Jany, che ne cambia tre prima di riuscire a trovarne uno funzionante! Comunque, dopo un paio di brani finalmente la band ingrana ed è una soddisfazione vedere questi ragazzi suonare comunque col sorriso in faccia di fronte ad uno sparuto pubblico di pochi-ma-buoni fedelissimi! Mi ritrovo a cantare a squarciagola le varie “Outlaw”, “Do You Wanna Listen”, “Rock’n’Roll Star”, “Bye Bye Policeman”, mentre Jany salta, si rigira, corre, scende dal palco, si arrampica sulla balconata del mixer, scende, si butta per terra, fa cantare il pubblico, si arrampica sulle casse… un frontman inesauribile! Tra le cover proposte, spiccano “Lit Up” dei Buckcherry, “Last Bandit” dei Dogs D’Amour e “Sex Party” dei Quireboys, durante la quale Jany ha invitato tutti a salire sul palco e un buon numero di persone non ha perso tempo, come potete vedere dalla foto qui affianco!
In conclusione, una band che ha saputo offrire una prestazione straconvincente e straprofessionale nonostante le condizioni avverse e le ripetute sfighe, e che ha dimostrato di sapersi divertire sul palco anche di fronte ad un pubblico ridottissimo! Bravi, e spero di rivedervi ancora svariate volte!

Si chiude così la prima edizione del Rock’n’Roll Damnation: molti spunti per essere soddisfatti (il fatto stesso che la manifestazione ci sia stata, e che il pubblico presente fosse in numero accettabile) ma anche tante pecche dovute all’inesperienza… ma che serviranno all’incommensurabile Alex e al resto degli organizzatori come esperienza per far meglio la prossima volta – perché ci sarà una prossima volta, e anche due, tre… e mi auguro che in queste future occasioni il pubblico partecipi di più, perché alla fine eravamo in pochi a conoscere le band, molta gente sembrava lì per caso. Comunque, e sono fiero di dirlo, anche Roma contribuisce alla causa del rock’n’roll!!!

Ah, dimenticavo: svariate foto dei concerti, del backstage e della serata di sabato le trovate qui: www.rnrdamnation.rocks.it
Rob’n’Roll


 

GILBY CLARKE + Muppet Suicide
15 Maggio - The Field Carpaneto Piacentino (PC)

Vidi Gilby Clarke nel ’92, quando i Guns’n’Roses vennero in Italia per la prima volta. Allora mi fece una stupenda impressione: testa bassa, maglietta dei Ramones, scarf, chitarra che sputa giri sporchi. Nient’altro. Vi giuro che l’ho adorato.
Da allora i Guns sono andati a puttane: Slash ha fatto 2 album (e 8739 collaborazioni inutili!), Izzy poco di più ma tanto nessuno lo sa, Axl non si capisce quale droga o vecchia zitella l’abbia ridotto così, mentre Gilby ha sfornato la bellezza di 4 album più un live.
Ora, dopo ben 12 anni (‘azz… la vecchiaia!) da quel concerto, ed una breve apparizione al Pistoia blues con gli Snakepit, Mr. Clarke si ripresenta in Italia, stavolta come solista.
Per motivi di comodità ho scelto la data del Field di Piacenza, un comunissimo pub dove in genere suonano gruppi underground, ma che negli ultimi tempi ci ha regalato serate niente male con Hardcore Superstar ed LAGuns.
Il gruppo di supporto sono i Muppet Suicide, un’ex tribute dei Gunners, che ora ha iniziato a proporre materiale proprio. Non è certo questa la sede migliore per giudicare una band, quindi lasciamo perdere critiche e impressioni, rimandate ad un concerto loro. Comunque i ragazzi sono bravi, se sapranno proporre dei brani all’altezza, ne risentiremo parlare.

Ed arriva finalmente il momento del cowboy.
Dividerei il concerto in 2 parti: quella positiva e quella negativa.

Parte positiva:8
Sicuramente uno show di puro r’n’r vecchio stampo, sincero, marcio ma ben vestito, suonato bene ma col trucco sbavato. Nonostante una formazione striminzita a 3, con Muddy Stardust (LAGuns) che non aveva certo i numeri per star dietro a Chad (Faster Pussycat), un batterista grandioso, il groove era molto buono ed i brani non hanno risentito più di tanto della mancanza della 2° chitarra.
Il “sig. Swag” ha il suo solito modo di fare da rocker di piccoli club: sempre la stessa camicia american-style anni ‘50 (si accettano scommesse se è più vecchia lei o i miei stivali), una voce tra il blues ed il glam inglese dei ’70, Les Paul basso ed una non-star attitude che in pochi posseggono. Nell’ora e mezzo di concerto abbiamo ascoltato brani tratti da tutti i suoi album solisti, senza privilegiarne nessuno ma lasciando in disparte “Rubber”. Comunque c’erano le sempre fantastiche “Tijuana jail” e “Cure me or kill me” (Pawnshop guitar), “Wasn’t yesterday great “(Hangover) in una versione leggermente meno melodica e più veloce, “Under the gun” (Swag) mi ha piacevolmente stupito per la resa live. Inoltre non potevano mancare “Monkey chow” (It’s five o’clock somewhere-Snakepit) e la ormai storica “Motorcycle cowboys” dei suoi vecchi Kill for thrills.
Ascoltare un brano tra una… ehm… volevo dire bere una birra tra un brano e l’altro è stato un vero piacere, e la performance mi ha confermato l’idea che m’ero fatto su questo musicista.

Parte negativa:4
Se qualcuno vi chiedesse un consiglio su che album acquistare dei G’n’R cosa gli consigliereste? Sicuramente non “Spaghetti incident”, o sbaglio? Ed è per lo stesso motivo che non riesco a capire perché in una scaletta ricca di brani stupendi come potrebbe essere quella di Gilby, debbano essere sacrificati almeno 6 pezzi per essere sostituiti da altrettante covers!?!
Nei suoi album ha sempre inserito 1 o 2 rifacimenti (il più gettonato è David Bowie), e questo mi può andar bene, ma dal vivo no, soprattutto quando all’attivo hai così tanti dischi. E poi scusate tanto, passino ben 2 brani degli Stones (Dead flowers, Wild horses), ma quando ho sentito per l’ennesima volta “Knockin’on heaven’s door” mi sono proprio cascate le palle. Questa è una canzone che viene scelta dai gruppi per due motivi: o non sanno suonare, e quindi i 3 accordi di Mr. Dylan sono estremamente facili da imparare, o hanno bisogno di un pezzo che tutti conoscono, così da accattivarsi l’audience. Ovviamente non è questo il caso, è solo un modo di ricordare che lui ha fatto parte dei Guns, e quando il sig. Rose urlava x 15’ (!!!) “hey, hey, heyheyhey” lui era lì, ma bastava il precedente medley eseguito poco prima tra “Dead Flowers” e “Used to love her”, senza bisogno d’una caduta di stile di questi livelli.

Beh, d’accordo, probabilmente niente di così grave, però mi aspettavo un po’ più di coraggio e, soprattutto, non mi va giù non aver potuto ascoltare “Shut up”.
Nel dopo concerto non ho resistito al non dire tutto questo, e Gilby s’è dimostrato per l’ennesima volta gentilissimo, disponibile e perfino un po’ timido, giustificando la sua scelta “…per paura che non tutti conoscessero i suoi pezzi, visto che era la prima volta in Italia”, e mi ha promesso la “mia” “Shut up” per la prox volta. Vedremo.
Negli ultimi tempi ho visto troppi concerti scarsi, per non dire pietosi, reunion più o meno vere che stanno tra il ridicolo ed il penoso, vecchie rockstar rivelatesi niente di più che vino divenuto aceto. Gilby Clarke non è un genio come Pete Townshend, non ha il carisma di Axl e non entusiasmerà mai le folle da stadio. Non è sicuramente un nuovo Hendrix e non ha mai scritto un brano che passerà alla storia tramite le mille classifiche che ogni anno le riviste ci propongono. Ma se vi piace il r’n’r, se ancora vi entusiasmate con gli Stones, se due birre sono sempre meglio di una e se avete sempre un paio di stivali addosso o di fianco al letto, la prox volta vedete di non mancare.
Parola di Capt. Jany.

Ps: caro Moreno, in futuro, se ti viene la malaugurata idea di farmi scrivere qualcosa, sei pregato di farmelo sapere prima del concerto e non dopo, quando la mia memoria fatica a ricordarsi cos’ho mangiato 10’ prima. Ma soprattutto evito di ospitare a casa mia Mauro che mi tiene sveglio fino alle 6 del mattino scolandosi tutto il mio whiskey mentre mi parla di… tetti (è scritto giusto purtroppo, non tette, ma tetti!). Grazie.

 

BRIDES OF DESTRUCTION + AMEN + LIVING THINGS
STARLAND BALLROOM, SAYREVILLE - NEW JERSEY - 8 Maggio 2004

Dopo un volo intercontinentale ed una trentina di miglia nella campagna del N.J., giungo a Sayreville, nota nella zona per essere la citta' natale di un certo J.B.Jovi, in uno STARLAND BALLROOM gremito di gente ansiosa per i BRIDES, le cui iniziali vengono piu' volte inneggiate gia' nel parcheggio.
Al mio ingresso sta gia' suonando una band locale non in locandina, di cui purtroppo non conosco il nome, ma che si distingue per una ben riuscita cover di T.n.T. degli AC/DC, suonata in compagnia del chitarrista degli AMEN.
La seconda band a salire sul palco sono i LIVING THINGS da Louiseville, una pseudo dark band che sembra essere conosciuta dai presenti, ma che non riscuote gran successo per colpa di una prestazione scialba e poco elettrica.
Dopo un lunghissimo cambio palco, degno di un head-liner, inizia il massacro degli AMEN, band gia' molto nota negli States dedita a sonorita' e look a-la MARILYN MANSON, con un impatto sonoro potentissimo ed una presenza sul palco studiata e rodata, nonostante il bassista sia palesemente influenzato da un certo Nikki Sixx, quasi da sembrarne il sosia!

Finalmente giunge il momento a lungo atteso dai circa 1000 presenti; cala uno schermo gigante su cui vengono trasmessi video di Firehouse e Warrant, ai lati vengono portate le rastrelliere con i bassi di Nikki e le chitarre di Traci ed una volta allestito il palco e spente le luci viene diffuso l'intro, leggermente prolungato, che preannuncia "Shut the fuck up"... i nostri entrano con un gran boato del pubblico ed alla prima "pennata" sul basso mi si spostano i capelli... evidentemente nel N.J. non ci sono limitazioni di decibel!
Devo ammettere che London parte in sordina, con una voce poco incisiva, avvolto in una giacca a vento invernale completata da sciarpa e berretto (n.b. ci sono circa 30° !?!), ma mi smentisce con le successive "Natural born killer" e "Brace yourself", con le quali sembra essere piu' a suo agio.
Si continua con una potentissima I got a gun, in cui traspaiono i Motley Crue del periodo Corabi, e con "Revolution", in cui il buon Guns mette in evidenza tutta la sua anima bluesy.

Con l'attesissima "Life" arriva il turno del buon Scot alla voce, un batterista molto incisivo e preciso, che si e' dimostrato sempre all' altezza della situazione, seguita da 10 minuti di solo di Traci Guns, letteralmente osannato dalla platea, che ha dato prova di saper essere un chitarrista virtuoso ed eclettico (ad un certo punto ha usato un effetto stile "stereo-delay" molto psichedelico), che ha tratti mi ha ricordato il compianto Rhandy Roads.
La prima parte del concerto si chiude con 2xdead e I don't care, suonate ottimamente come le precedenti, con un Nikki intento a lavarci tra sputi di acqua e lattine di birra, prima di abbandonare il palco tra gli applausi.
Al grido di "Brides more stuff" i nostri rientrano e qui inizia il clou: "One more reason/Never enough/Reap & Tear" per celebrare gli Hollywood Vampires e "Shout at the devil/Look that kills/Live wire" in tributo ai Motley Crue... praticamente rimango senza parole, la gente canta a squarciagola tutti i pezzi, Traci e Nikki non riescono a nascondere il loro entusiasmo lanciando di tutto dal palco (plettri, asciugamani, corde strappate, polsini ecc.) e salutando infine tutti senza pero' dar la possibilita' di un autografo.

Sono ormai le 2.00 am e il locale si svuota velocemente, sollecitato dai buttafuori "immensi" e "incorruttibili" per quanto riguarda l'accesso al backstage.
In definitiva i Brides sono in gran forma, Nikki e Traci su tutti (ma anche il resto della ciurma e' assolutamente all' altezza), e mi hanno dato l' impressione di una band con grandi aspirazioni e non di una semplice rimpatriata di vecchie star, impressione che mi fa credere che le voci del loro "2 di picche" al Flippaut con una scaletta penalizzante siano fondate.

nota: Nikki e' stato seguito come un' ombra da un body-guard dall' aria inferocita, vestito come il sosia di Rob Halford, che addirittura e' rimasto appoggiato all' amplificatore del basso per tutto il concerto... manie da rockstar?
Paolo Pirola


Pix by Laura Delnevo

 

BACKYARD BABIES + Thee STP
Transilvania Live, Milano – 11 maggio 2004

Arriviamo in via Paravia sulla Mafia Mobile. Finestrini abbassati, musica alta, inesorabilmente mafiosi e sopra le righe. Il tempo di scendere e la nostra baldanza viene sconfitta a tavolino: Moreno è già li che aspetta, e la sua bandana ora portata da Hell’s Angel (che sia un effetto collaterale dei Quireboys?) ci fa dimenticare di aver appena visto l’idolo Johnny Depp sulla copertina de “L’uomo”. Decidiamo di annegarci in un bar vicino al Transilvania, e sia maledetta la Juve ma l’epico bar con specialità sarde è chiuso, e ci tocca riparare in un baretto dove gli alcolici sono pericolosamente annacquati, quasi al livello del cervello di chi ha concepito “Fukin Kant” o di chi si ostina a negare l’evidente pelata di Dregen.

Appena entro al Transilvania vedo il Basetta e un po’ mi commuovo… sarà per il suo influsso mephistofelico che in questa recensione fino a ora parlo dei cazzi miei? Probabile, motivo per cui vi invito a boicottare Oriental Beat e a picchiare a sangue lui e i suoi collaboratori. Mezze tacche, rifiuti urbani, scaccolatori di tastiere.
Ma veniamo al concerto… “c’mon and let my lips do the talkin’, let my creepers do the walking…” e mica conto cazzate: come in tutte le occasioni di festa porto ai piedi le mie fedeli Creeper. Compratene un paio anche voi, la vostra vita farà un balzo felino in avanti. Honest.

Iniziano gli STP e spaccano. Il pezzo d’apertura è nuovo, ma come al solito vi invito a prendere con le pinze le mie scalette… in questi momenti mi rendo conto di quanto sia labile e sconvolta la mia memoria, è ancora fresco il trauma infantile di mio padre che mi lascia vincere, sguardo rassegnato, a Memory. “Lessons”, “Town Called Misery”, “Lazy Lisa” fino a concludere con la storica “(Gimme Gimme) STP” sono tutti pezzi da novanta, pura classe dinamitarda. Ottimi, a dir poco. Dio benedica gli STP, la migliore band italiana, e guarda caso non fanno hair metal.

“Do you remember Rock n Roll Radio” rifatta dai KISS (se non sapete di chi è l’originale uccidetevi, siete esseri spregevoli e inutili) è la intro che ci introduce a Dregen e soci: attacco a sorpresa con “Look At You”, personalmente alzo il pollice alla Fonzie e già che ci sono alzo il dito medio dell’altra mano a erigerlo come simbolo di rifiuto di un evidente handicap. Il volume è così basso che sento distintamente Moreno recitare l’Ave Maria, o forse bestemmia, vallo a capire uno che ascolta i Shy Tiger
I ‘Babies suonano da Dio, poche palle. Sono rimasto sbalordito a sentire una tale precisione, non è la prima volta che li vedo, e complice anche il confronto con diversi bootleg video e audio, non posso che darmi a un plauso sfrenato. Però… zero brividi o vibrazioni, è tutto troppo preciso, tutto troppo contenuto, ho la cassa giusto sopra la testa e non avverto nulla… way too bad… soffro, soffro perché i BYB sono una delle mie band preferite, e vorrei che ogni nota mi facesse male, mi graffiasse. Invece mi accarezzano, e forse ripetono uno spettacolo che ho già visto… o forse ancora sono uno stronzo ipercritico…

Anyway, come non muovere il piedino con una splendida accoppiata “Heaven 2.9” e “Powderhead”? “One Sound” più l’ascolto e più acquista punti… dal vivo è micidiale, splendido l’alternarsi alla voce di Dregen e Nicke, splendido il riff ipnotico. Così come è splendida “Made Me Madman”, e da “Making Enemies Is Good” fan la loro figura “The Clash” e ”Brand New Hate”. A un certo punto Peder impazzisce e lancia nel pubblico una bottiglia d’acqua a mo’ di kamikaze: non invidio il malcapitato che se l’è presa in faccia. Sarà stato incazzato che gli han tirato i basettozzi??
Concludono le danze (sempre col pedale della sordina inserito, sarà colpa del vicino Ospedale Geriatrico? Anziani di merda, lo dico sempre io…) “Everybody Ready” – non molto indovinata come pezzo da bis a mio avviso – e “Minus Celsius”. Il resto è della serata è il solito circo del Transilvania, ma a parte tutto è sempre bello fare 4 piacevoli chiacchiere coi presenti. Sarà che ho preso un acido, ma sono arcisicuro di aver persino parlato con Rob Trujillo. Eh Dio fa’!
Concludo elogiando nuovamente le mie Creeper, che mi permettono di essere un novello Mosè e di attraversare indenne il lago di piscio dei cessi. Compratevi le Creeper, pezzenti pitonati, ve l’avevo detto io! E già che ci siete, al prossimo concerto al Transilvania munitevi di un paio di Amplifon!!
Simone “It’s just a deadend” Parato

Pix by ZioTeo

 

QUIREBOYS + Kickstart + Hungry Hearts
Indian’s Saloon – Milano, 1 maggio 2004

Parcheggiata la mafia mobile ci ritroviamo a cazzeggiare beatamente nel parcheggio dell’Indians assieme ai primi rockers della “Woodstock of Slam” accorsi sul posto. Una delle prime immagini di questa serata è l’arrivo degli Hell’s Angels, in parata con le loro motociclette, rombi di motori, giubbotti di pelle e odore di gas di scarico. “It’s 7 o’clock, time for the party”… in realtà le lancette dell’orologio sono già più avanti, per cui è d’uopo iniziare le danze dei boccali, danze che da buona febbre del sabato sera andranno avanti ingorde fino al mattino.

Tocca agli Hungry Hearts aprire il concerto, davanti a uno sparuto gruppo di spettatori che non rende la dovuta giustizia alla band, autrice a mio avviso di un pregiato e tosto hard rock, a cavallo tra Bon Jovi d’annata e i primi e più melodici Erotic Suicide. Ma forse forse gli Erotic Suicide li tiro sempre in mezzo perché di hard rock non capisco un cazzo, uahaha!
Anyway, un plauso alla band, che a quanto ho capito presto uscirà con un disco su Frontiers. Davvero ottime voce e chitarra solista, con assoli davvero di buon gusto e feeling.

I Kickstart hanno dalla loro una bella dose di sfiga: tra una corda del basso che si rompe, un microfono che non ne vuole sapere di funzionare bene e un ulteriore problema all’ampli la resa della band lombarda viene inficiata e il concerto stenta a decollare e farsi coinvolgente… davvero un peccato! Nonostante questi handicap, i Kickstart offrono un poker di canzoni dal sentore bluesy e retrò, un hard rock che vive negli anni 70 di buona fattura ed eseguito con passione fino alla conclusiva “Born To Be Wild”.

E giunge il momento dei Quireboys… ahimé nuovamente orfani dell’idolo Nigel Mogg, restato negli USA per problemi con la carta verde e sostituito da Nick Mailing, produttore tra l’altro dell’imminente nuovo album della band…
L’assenza del bassista si è fatta sentire (sarà un caso che le date inglesi le hanno annullate?), e non sono bastate la simpatia di Spike (ma quanto è bello vedere un cantante sorridere come lui?) e di Guy Griffin (impeccabile alla Telecaster e decisamente più in forma che in passato) a bissare il livello del concerto di tre anni fa, sempre all’Indians Saloon.
Per carità, non sto certo dicendo che sia stato un brutto concerto, ma mancava un ingrediente fondamentale per fare quadrare il cerchio, e questo ingrediente si chiama Nigel Mogg. In ogni caso, una prestazione decisamente più brillante e vivace del recente concerto al Serie-Z, senza dubbio alcuno!
Un calcio al microfono, “Good to see ya”, estratta dal nuovo “Well Oiled”, apre le danze: il locale è pienissimo e un pubblico a dir poco entusiasta canta le successive vecchie glorie a squarciagola… “Hey You”, “Sweet Mary Ann”, “Whippin Boy”, “7 o’clock”… Spike sorride e brinda, brinda e sorride, Guy e Paul Guerin incrociano riff dietro a riff, e una canzone del nuovo album, presentata con qualcosa tipo “this is about being arrested while fucked up”, si rivela davvero una gemma, mentre l’altro “inedito” “Lorraine Lorraine” è abbastanza nello standard della band inglese.
Arriva il momento quasi religioso di “I Don’t Love You Anymore”, e non posso fare a meno di avvertire i brividi lungo le braccia ed abbandonarmi agli splendidi versi di questa poesia loser. Chiude “Sex Party”, memorabile come sempre il botta e risposta tra Spike e il pubblico, nell’incedere di una delle canzoni più belle mai scritte dai Quireboys.

La festa continua tra chiacchere e drink, e così arriva il mattino, e un po’ mi viene da sorridere a pensare all’ennesimo delirio in autogrill, tra quella cazzo di rana che salta, le merde canterine e un “campagnozzo & caffozzo”! Altro che mafia, qua siamo tutti dementi da ricovero… :D
Simone Parato



Pix Laura Delnevo

 

MONSTER MAGNET - GLUECIFER + THE QUILL
3 Aprile 2004 - FRI SON – FRIBURG (CH)

Sicuramente vi starete chiedendo che cavolo sono andata a fare in Svizzera dato che il tour di MM e soci è passato anche qui sotto casa, a Milano! Beh, sveliamo subito il mistero. Diciamo che questi ragazzi sono qualcosa di elettrizzante e contagioso, ragion per cui impossibile pensare di non seguirli ovunque sia umanamente possibile. Fu così che dopo la desolante notizia della cancellazione del loro show a Treviso, decisi su due piedi di farmi un bel giretto nella verdeggiante e lussureggiante Svizzera. Perciò sveglia alle fatidiche 8.00 di un sabato mattina, doccia fredda, scorta cibo e via di corsa verso il confine!

Arriviamo in quel di Friburgo dopo un allegro e spensierato viaggio. Raggiungiamo il locale grazie ad una carinissima coppia che ci ha “scortato” fino l’entrata del popolare club, e senza la minima fatica entriamo dove veniamo accolti stile eroi da alcuni componenti dei The Quill! Assistiamo al sound check dove Roger Nilsson e soci si divertono a riproporci qualche pezzo dei Deep Purple, ispirati da una soffusa luce bianca penetrante la “nebbiolina artificiale” che invadeva il palco. Dopodiché pausa spuntino, birra, qualche sigaretta ed… è ora dello show.

Fortunatamente l’organizzazione è di gran lunga migliore di quella italiana! I The Quill salgono sul palco verso le 21.30 e stasera sembrano essere in ottima forma. Hanno una fantastica energia e spaccano fin dalle prime note della canzone d’apertura, “Spinning Around”. Il loro suono è un freschissima rivisitazione di un classic rock stile Led Zeppelin anni 70 con influenze alla Black Sabbath, grazie soprattutto ai riff di Christian Carlsson. Mentre il cantante Magnus Ekwall ricorda moltissimo la splendida, coinvolgente voce di Chris Cornell, frontman dei Soundgarden. Tra le altre cose il simpatico pubblico svizzero dedica al vocalist svedese il meritato coro di auguri per il suo compleanno, che cade proprio oggi. Le canzoni corrono via fin troppo veloci, quasi tutte tratte dall’ultimo album tra cui: “Come What May”, “Hand Full Of Flies”, “American Powder” e “Nothing Ever Changes”. Ancora una volta la scena più spettacolare dello show è con “Hammerhead”, durante la quale Christian agguanta una chitarra dodici corde, mentre Roger si scatena sui potenti riff del suo basso e George “Jolle” Atlagic tiene alto il ritmo dell’esibizione animando l’anima della sua batteria. Purtroppo lo spazio a loro dedicato non è molto, meriterebbero molto di più, ma ci accontentiamo anche stavolta sperando di rivederli in questa fantastica forma molto, molto presto; magari quest’estate!

Veloce cambio strumenti ed ecco gli scatenatissimi norvegesi Gluecifer invadere il palco. Questi ragazzi, giustamente denominati “Kings Of Rock” non perdono occasione di mostrare la loro potenza, anima e spirito r’n’r. Una volta cominciato, lo show continua ininterrotto per gli abbondanti trenta minuti a loro disposizione. Il pubblico è scatenatissimo e canta con la band dalla prima all’ultima strofa. Un grande, grandissimo successo per i talentuosi norvegesi. Tutti i pezzi forti di “Authomatic Thrill” vengono sparati uno dopo l’altro senza respiro “Here Comes The Pigs”, “Take It”, “Put Me On A Plate”, “Reversed”. Il delirio si scatena con “A Call From The Other Side” in cui band e pubblico si incitano e provocano a vicenda; il coinvolgimento è altissimo! Biff Malibu poi comincia ancora uno dei suoi soliti monologhi che sfortunatamente non ricordo, anche se Raldo e Captain Poon a un certo punto erano piegati sul palco dalle risate! Il Capitano ha fatto ancora una volta la sua bella figura sfoggiando attillatissimi pantaloni bianchi e maglia rigorosamente nera , mentre Raldo Useless ha intrattenuto la parte sinistra del palco con i suoi assolo e sorrisi smaglianti. Come sempre la prestazione del bassista Stu Manx è stata memorabile mentre Danny Young ha stupito pestando a più non posso le pelli della sua raggiante batteria bianca. Questo sì che è r’n’r! musicisti spettacolari oltre che persone umanissime, il che non fa che migliorare la loro immagine e la loro apprezzabilità.

Come al solito il meglio arriva per ultimo, il palco viene preparato per i Monster Magnet. Purtroppo mi sono persa l’inizio dello spettacolo perché l’affollamento del locale, il caldo e il fumo mi hanno costretto a una veloce fuga all’aperto, giusto per riprendere le attività respiratorie necessarie per godermi la parte finale dello show. Questa volta Dave Wyndorf è proprio in gran forma, i problemi alla gola sembrano svaniti e riesce a tenere alta la sua immagine da icona r’n’r. Il gruppo non lascia indifferenti chi aveva delle alte aspettative per la loro esibizione e si lancia sui potenti riff di canzoni come “Tractor”, “Supercruel”, ripropongono il puro rock con “Powertrip” e “Dinosaur Vacuum”, Ed Mundell è fantastico e con il secondo chitarrista Phil Caviano si esibisce in esilaranti assolo togli fiato! Intanto la set list continua impavida e potente con “Zodiac Lung”, la title track “Monolthic Baby” e ancora “Teenage Negasonic Warhead”. Il tempo corre via veloce e le ultime proposte sono “Spacelord” e “Spine Of God”.
Dave stasera ha deciso di esagerare. Dopo essersi contorto sulla sua chitarra questa volta non si limita a sfasciarla a pezzettini ma gli da addirittura fuoco! Lo spettacolo sembra infinito e per non so quanto tempo resta sulla pedana a sventolare la chitarra avvolta dalle fiamme, sfiorando il pubblico e poi su, in alto, fino quasi a sfiorare il soffitto. Grandioso! Dave ha dimostrato di essere un grandissimo ed abilissimo front man, aiutato naturalmente dai due abilissimi chitarristi e dalle nuove entrate Jim Baglino al basso e Bob Pantella alla batteria.

L’after show è stato qualcosa di unico e irripetibile in cui Jolle, Christian, Stu Manx, Raldo e anche Ed Mundell si sono dimostrati persone simpaticissime intrattenendoci con aneddoti di questo e precedenti tour. L’ora del ritorno però si è avvicinata senza pietà e sono stata costretta ad una veloce ritirata e un triste addio da questi magnifici musicisti. Spero per loro che tutti gli show a venire siano tanto spettacolari quanto quello di stasera e che riescano a tenere alto il nome del rock’n’roll.
Laura Delnevo

Krys

Pix by Rob ‘n’ Roll

 

BASTET + KRYS
24 Marzo 2004 - Sonica, Roma

Organizzare una data dei Bastet nella capitale è stata una faticaccia, ma di quelle che si fanno volentieri… e infatti, non appena il Dr. Pace mi ha comunicato che il Circolo degli Artisti non era più disponibile e che bisognava trovare un altro locale, la mia mente è corsa subito al Sonica: trattasi di un piccolo ma gustoso club dove, alleluia, la gente si gode il concerto in piedi e non seduta al tavolo, il che significa 1000% in più di partecipazione, cosa che proprio non deve mancare nei concerti della band di Pacino & co.
Di supporto, i giovani Krys, una band che sta cominciando a farsi vedere in giro sempre più spesso, e che avevo già potuto ammirare al Rock’n’Roll Damnation, di cui vi ha parlato diffusamente il buon Alex da qualche altra parte di Slam.
Ogni volta che vedo il Barbie Van aggirarsi per le vie della Capitale mi viene sempre un groppo alla gola per l’emozione, frammisto alla curiosità che mi porta a farmi domande del tipo “Chissà che belle scenette quando li fermano per controlli” o “Chissà quando i bambini in macchina con la famiglia vedono quel “coso rosa”, quanto imbarazzo provocano nei loro papà chiedendo di cosa si tratti”… in ogni modo, il Barbie Van fuori dal Sonica stavolta mi suscita parole poco gentili nei confronti dell’Altissimo che pur “amando il rock’n’roll”, fa piovere a dirotto per buona parte del pomeriggio. Saluti vari con i membri delle due band, poi si comincia a montare, e iniziano le gag, con Pacino che tenta di insegnare il veneto ai Krys, o Chris stesso che mi si siede affianco e mi informa che si sono dimenticati un ampli per chitarra e mi implora di trovare una soluzione. Per sua fortuna: a) ce l’ho io; b) sono a 5 minuti da casa, e quindi nel giro di 15 minuti il mio bel Peavy fa bella mostra sul palco insieme ai “mostri” dei Bastet.

Il check è rapidissimo (merito del grande Fabio “Man In Black”, che ribadisco essere uno dei migliori fonici di Roma), e per le nove e mezza siamo tutti su davanti a delle pizze fumanti… tranne me! Per un disguido, mi ritrovo senza, ma la cosa si rivela una mossa azzeccata: facevano schifo e il povero Rockin’ Hawk è stato male tutta la sera. E così, tra aneddoti, racconti, gente che arriva, gente che beve, sopresone (ho visto Pacino commosso quando il suo idolo Bibo “the sheriff” gli si è parato innanzi!) e svariate birre; noto con piacere la presenza di quasi tutti gli Slammisti romani (e l’assenza di parecchia altra gente che mi sarei aspettato), ma soprattutto di quel tot di, passatemi il francesismo, “belle fighe” che non guasta mai!
Sono le 23:30 quando Chris, Die Die, Nasty e DJanko salgono sul palco e attaccano con la loro dose di rock’n’roll. Onestamente, non riesco a trovare tutti ‘sti riferimenti a Dogs D’amour e Quireboys, piuttosto sembrano degli Hanoi Rocks più punk; sentiti poi con un sound pulito e chiaro mi conferma l’impressione che la band deve ancora crescere parecchio, e riesce meglio nei brani meno punk e più melodici, come “Baby Paradise”, “I Love You” e “Sly Girl”. I nostri sfornano sia pezzi dell’ormai vecchio cd che brani in fase di registrazione per il nuovo lavoro… c’è mancata giusto quella cover azzeccata per chiudere in bellezza – mi piacerebbe sentirli rifare qualcosa della band di Mike Monroe, ad esempio. Comunque, buona prova della band, in generale, anche se (non posso negarlo) ho un debole per il loro bassista, Nasty! Bravo, incazzato e dal look perfetto!

Veniamo ai Bastet: come dicevo, un locale piccolino e senza sedie è l’ideale per Pacino e soci, che infatti non stanno praticamente mai sul piccolo palco, ma gironzolano per tutto il locale, mentre sfornano i loro classici “God Is Good”, “Gonna Get Laid Tonight”, “Spurtin’ Joy Wherever I Go”, nuovi brani come “Sodoma & Gomorah” e cover a sorpresa, come “New York New York”, “Like a Virgin” di Madonna e una roboante “Plastic Dolls” degli Alleycat Scratch. Non sto a raccontarvi dei vari baletti, pose e affini in cui la band si produce, tanto ormai lo sapete! Pacino intrattiene il pubblico con le solite gag (e sfoggiando una t-shirt con la scritta “Sborro Gioia” sullo stile di quella della coca cola…), la maggior parte delle quali coinvolgono il povero Rufus e il festeggiato di turno, J Revolver dei No Way Out; quando poi mi viene chiesto di passargli una sedia, su cui ovviamente il nostro ardito frontman sale per cantare, il timore che cada e si uccida di dolore è strafondato… tant’è vero che ci va vicinissimo!
Il pubblico comunque partecipa, si diverte, va in visibilio quando Carmen mostra le chiappe, canta le canzoni (è consolante sapere che non sono il solo, ziocan!), e chiama a gran voce i nostri quando fanno finta di andarsene, per poi tornare e regalarci una devastante Erected e un altro paio di pezzi.
E quando se ne vanno davvero, siamo tutti un po’ più tristi e a quanto pare, la tristezza ha spinto molti romani a sfogarsi nello shopping, dato che quell’intrallazzone del Dr. Pace pare sia riuscito a vendere una quindicina di cd. E’ arrivata l’ora di foto ricordo, baci, abbracci, saluti, il tempo di dare l’appuntamento ai Bastet alla prossima volta e… cazzo, è già mattina ? Naaah, non ci voglio andare in ufficio!!!
Rob ‘n’ Roll



Pix by Laura Delnevo

 

HUGHES/TURNER
Motion (Bergamo) - 8 marzo 2004

Buona festa della donna a tutti, e quale modo migliore di festeggiarla se non presenziare ad un concerto di due mostri sacri?
Facciamo il nostro ingresso trionfale al Motion giusto 5 secondi prima dell’inizio del concerto, eravamo certi che Pino Scotto avrebbe timbrato il cartellino ad un concerto del genere. Ce lo ritoroviamo addirittura sul palco con i suoi fidi Fire Trails per scaldare il pubblico. A stento ci riprendiamo dallo shock. La sua esibizione ci pare particolarmente grintosa e piacevolmente supportata da ottimi musicisti, peccato che la resa sonora non gli abbia reso giustizia.

Una volta terminata la performance del nostro rocker nostrano, la folla (noi compresi) comincia ad avvicinarsi quatta quatta al palco. Si spengono le luci e parte automaticamente un boato. Gli headliners fanno la loro apparizione: Glenn Hughes in camicia rossa e occhialini da sole alla John Lennon (vabbe’…), Joe Lynn Turner un tantino appesantito e con un taglio di capelli improponibile. Ma, sinceramente, chissenefrega! Per lo spettacolo che hanno offerto avrebbero anche potuto presentarsi con le camice hawaiane e i pantaloni alla zuava e nessuno avrebbe avuto da ridire. Si parte con “Hold On”, dal loro ultimo album, ed e’ subito adrenalina che sale. Gia’ da subito il buon Hughes si prodiga in performances vocali da pelle d’oca, e anche Turner non e’ da meno. Il risultato va oltre ogni aspettativa: gli acuti dell’ex bassista dei Deep Purple si sposano perfettamente con i timbri piu’ caldi di Turner. Si prosegue con “Can’t Stop Rock’n’Roll”. Poi, il primo di una discreta serie di successi dei rispettivi ex gruppi dei nostri eroi: “I surrender”. E il pubblico approva pienamente. Piccolo intervallo con qualche pezzo del nuovo album HTP2, tra cui “Losing My Head”, che abbiamo trovato particolarmente valida, e “Alone I breathe”. E arriva il revival Deep Purple. Turner lascia la scena (complice anche il fatto che non fosse fisicamente al meglio) e Hughes introduce “Mistreated”. Dopo appena due note la platea va letteralmente in visibilio. e poi altre perle, “Stormbringer”, “Keep On Moving”, dove Hughes sfodera un prestazione quasi mistica. Forse proprio in “Keep On Moving” ci pare di riscontrare un’imitazione eccessiva dello stile di David Coverdale, ma si tratta di un dettaglio tutto sommato trascurabile. Menzione d’onore per il chitarrista JJ Marsh, già da qualche tempo alla corte del buon Hughes, che riesce in ogni pezzo a regalare assoli notevoli, molto à la Richie Blackmore, ma senza mai copiarlo (troppo) sfacciatamente. Pur cimentandosi in passaggi tecnicamente complessi non scade mai nel virtuosismo fine a se stesso, non manca di trasmettere al pubblico un certo feeling con il pezzo (va be’, a parte un paio di “cavalcate”, che magari dopo un po’ possono annoiare...). E poi, finalmente, una chitarra solista con un volume decente: assoli con un suono bello e nitido. E noi gridiamo al miracolo.
Dopo essere scomparso per tipo mezz’ora, torna anche Turner sul palco, anche parecchio piu’ pimpante di prima.
Dopo la classica “finta” i nostri escono per l’encore. “Devil’s Road” e “Spotlight Kid” tanto per gradire. Turner si diletta in qualche mossa di danza alla Tony Manero (troppo rock’n’roll!!!)

E’ giunto il momento di salutarsi davvero. Brano di commiato: “Burn”. Quasi superflui i commenti, o meglio, bisognerebbe ripetere quanto detto finora: stratosferici. Meno male, considerando che poco prima del concerto erano stati avvistati vicino al tour bus con un’aria vagamente scazzata che non lasciava presagire niente di buono.
Che dire, saranno vecchi e ammuffiti, ma hanno offerto uno spettacolo incredibile. Peccato per chi non c’era. Peccato anche per il volume (l’unica vera nota negativa della serata), ad un livello davvero ignorante, una roba indecente. Non sarebbe neanche stato necessario comunque, visto che il caro Glenn e il vecchio Joe Lynn con le voci che si ritrovano non hanno certo bisogno di aiuti...
Luca Giberti/Claudia Schiavone



Pix by Cristina Massei

 

SUPERSUCKERS
+ FUTURE EX WIVES = TOKYO DRAGONS

London, Highbury Garage – 2 Febbraio 2004

Se esistesse una giornata mondiale del rock’n’roll, con una grande festa alla fine che ne celebrasse il significato, quel party oggi dovrebbe essere capitanato da nessun altro che i Supersuckers.
In una Seattle ancora musicalmente insignificante, in un epoca a cavallo tra glam e grunge, Eddie Spaghetti e compagni hanno dato un pugno sul naso prima all’America poi al resto del mondo con un punk rock’n’roll senza tempo e senza regole, e non si sono mai piu’ fermati. Esiste secondo me un tipo di “mainstream live”, uno sparuto gruppetto di bands che non troverai in classifica ma fanno sold out a ogni concerto, shows che i fans anno dopo anno non si stancano mai di vedere. Ti propongono rock’n’roll allo stato puro, senza fronzoli, pezzi scritti on the road che salgono dritti dal cuore, svincolati da ogni regola di mercato. E forse per questo il mercato non ci vuole avere piu’ di tanto a che fare... O meglio, forse sono loro che non sanno che farsene del mercato. Qualcuno che ti dice quando metter fuori il prossimo album e cosa metterci su, quali interviste fare e cosa indossare. A che serve a gente come i Supersuckers? Tutto cio’ che fanno e’ dar voce alle proprie emozioni e dividerle con chi puo’ capirle, puro e semplice. E lo fanno talmente bene, e ci mettono tanta passione e sudore da riuscire alla fine a viverci sopra onestamente, senza ville a Beverly Hills ma con la soddisfazione senza prezzo di poter fare quel che piu’ amano e rendere felici un po’ di persone. Come me questa sera.

Un pomeriggio ad ascoltare “tales from the road” da Ron e Eddie e’ il riscaldamento piu’ appropriato per quello che mi aspetta. Quando i Tokyo Dragons, caldamente consigliati dallo stesso Heathman, aprono le danze, sono in totale rock’n’roll mood. Sul palco del Garage un gruppo di sbarbatelli che sembrano appena usciti da scuola: jeans e magliette qualunque, tagli di capelli alla Datsuns, niente che possa prepararmi minimamente a quello a cui sto per assistere. Quando la musica dei TD irrompe nell’aria hai la netta sensazione che le mura stiano per andare in pezzi, il palco sembra troppo, troppo piccolo per questi prodigiosi esordienti. Come i Supersuckers, i Tokyo Dragons non possono essere ricondotti a nessuna epoca o trend, ma a differenza degli headliners il suono e’ piu’ hard rock di scuola AC/DC, meno da club e piu’ da arena. Per quanto questo sia il loro primo tour di un certo rilievo e abbiano all’attivo solo un demo di tre pezzi e nessun contatto-etichetta-etc, non mi stupirei vedendoli di supporto ai Darkness in un annetto. Esagerata? Mah, qualcuno molto piu’ competente di me (Metal Hammer) ha recensito un loro recente concerto molto entusiasticamente, definendoli “gruppo da stadio”. Oh, anche Kerrang gli ha dedicato una paginetta... Non male eh, per dei ragazzini con un demo in una bustina di plastica. C’e’ una storia divertente sul perche’ siano qui stasera, ma la conservo, perche’ ho intenzione di dare a questi ragazzini lo spazio che meritano e fargli qualche domanda in un futuro non troppo lontano.
Glisso sulla seconda band, i Future Ex Wives, credo imposti dal locale o dalla booking agency. Mi ricordano molto la seconda band dello show dei Darkness, brutti con cappellini da baseball e suoni estremamente fastidiosi oltre che totalmente fuori luogo. Si conferma il recente trend londinese dei supporti, con un’ottima band esordiente d’apertura e una cagata locale poco adeguata e dannosa per occhi e orecchie nel mezzo. Sto elaborando una mia teoria: considerato quanto spesso la gente va ai concerti tardi perche’ le bands di supporto fanno schifo, sara’ che i locali hanno ben pensato di mettere la zavorra nel mezzo per dar modo al pubblico di spendere al bar nel frattempo? Bella idea per loro, bel martellamento di balle per noi. Vabbe’.

Arriva l’ora dei Supersuckers. Un pubblico totalmente ubriaco (grazie probabilmente anche ai Future Ex Wives) si accalca sotto il palco e aspetta ancora una volta che scocchi l’ora del rock’n’roll. E quando Eddie afferra il microfono non conta piu’ niente. Non conta che e’ lunedi, che c’e’ la guerra, la fame, i vigili fuori che ti stanno probabilmente rimuovendo la macchina, la tua donna che ti tradisce col lattaio... Non hai bisogno d’altro che di questa linfa vitale, degli “Evil Powers of Rock’n’Roll”. Siamo fortunati noi rockers.
Raccontare emozioni non e’ cosa facile. E a parte quello, c’e’ ben poco da raccontare. Un fan esageratamente caloroso salta sul palco e tenta di rubare il posto a Eddie Spaghetti, viene rimosso e giustificato dal vocalist: le intenzioni erano buone, dice, e’ giusto voler salire sul palco, ma se volete farlo mettetevi su una band e bookatevi un gig, io sono contento con la mia band cosi com’e’. E si vede, l’affiatamento tra questi ragazzi e’ di un’evidenza disarmante. E’ bello anche rivedere Ron in forma, i suoi problemi passati sembrano finalmente alle spalle. Il nuovo batterista, Mike, e’ perfettamente inserito e nella mia ignoranza direi un ottimo acquisto.
Highlights della serata... Solita drammatica domanda, e’ tutta un’highlight! Diciamo che “I want the drugs”, “Going back to Tucson” e “Pretty fucked up” mi danno quel po’ di palpitazioni in piu’. A chiudere l’eccezionale serata una cover che fanno per la seconda volta e viene benissimo, si tratta nientemeno che di “Hey ya” degli Outkast, e infine una delle mie all time favourites, “Born with a tail”, che ci manda tutti a casa con un grande sorriso e una riserva di adrenalina.
Scocca la mezzanotte, la carrozza si ritrasforma in zucca, si torna al mondo reale. Ma quanto ha significato quel ballo per Cenerentola... Salgo sulla metro e metto i miei Supersuckers in cuffia, a volte non serve la bacchetta magica per vivere felici e contenti.
Cristina Massei



Pix by Laura Delnevo

 

MICHAEL SCHENKER
+ LISTERIA + RAIN

Milano, Indian’s Saloon - 4 marzo 2004

Chi si sarebbe aspettato di accogliere una leggenda dell’hard rock di sempre all’Indian’s Saloon di Bresso? Forse pochi, visto che il locale non era esattamente stracolmo.

Al termine dell’esibizione dei Rain, storica band bolognese (che ci ha offerto dell’ottimo heavy metal classico), l’atmosfera era piuttosto rilassata. A diminuire le aspettative contribuiva un rudimentale striscione che coronava il palco, dove si riportava a pennarello (!) il sito internet del nostro, www.michaelschenkerhimself.com (peraltro senza tener conto dello spazio a disposizione per scrivere il lungo indirizzo).

Dopo essermi reso conto di non trovarmi ad una festa paesana, il nostro e’ apparso con la sua band., quasi irriconoscibile, in tenuta da rapper o da chitarrista cross-over. ‘Are you ready to rock’ apre il concerto poco prima di mezzanotte, mettendo in chiaro quanto a volte contino ben poco le apparenze. Ma l’esibizione e’ inizialmente penalizzata da un soundcheck forse un po’ frettoloso. Inoltre l’audience, composta in prevalenza da saggi e svezzati over 30 non risponde con eccessivo entusiasmo, forse non convinti da uno Schenker piuttosto defilato e da un frontman, Chris Logan, poco comunicativo e un po’ impacciato.

Ma e’ forse con ‘Lights out’ che i presenti si ricordano di essere (o essere stati) dei rockers. Ed e’ subito amore, perche’ la band viene investita dal calore della folla e comincia a mostrare le unghie e piu’ sorrisi.

Il concerto esplode ed il combo sfodera una sequela di successi targati UFO e MSG da cantare tutti insieme ("rock’n’roll believers", "fatal strike", "only you can rock me", "on and on" etc..). Adesso il sound e’ piu’ che accettabile. Logan si scioglie e si riscatta grazie ad una gran bella voce, calda e versatile (gli devono aver giovato gli omogeneizzati assunti in tenera eta’). Il massiccio tuttofare Wayne Finley fa veramente di tutto ed in maniera ineccepibile: cori, riempitivi con le tastiere, armonizzazioni con la chitarra di Michael e persino un assolo da paura con la sua Carvin. Certo anche il drummer si dimostra all’altezza della situazione con un bell’assolo (e soprattutto breve, viva la sobrieta’!).

Ma tra i gregari spicca sicuramente il bassista Rev (diminutivo di Reverand!) Jones. Nessuno gli avrebbe dato un euro, con quell’aspetto da scarto dei Red Hot Chili Peppers. E’ invece lui che cerca di coinvolgere il pubblico fin dall’inizio con salti, smorfie e funambolismi vari con lo strumento, senza peraltro sbagliare una nota. Gradevolissimo il suo assolo sinfonico, aiutato da un delay.

Che dire dell’ex enfant prodige della sei corde: la sua esibizione e’ stata una lezione di come ogni chitarrista dovrebbe trattare il proprio strumento (e forse molti pseudochitarristi presenti lo hanno gia appeso al chiodo). Si puo stupire con una tecnica sopraffina senza dimenticare melodia e feeling? Michael Schenker, nell’angusto spazio del nostro Indian’s Saloon, e’ venuto a dimostrarcelo. E quando il pubblico ha cominciato a ripagarlo, ha alzato gli occhi ed e’ uscito dall’angolo in cui si era autoesiliato per ringraziare a suon di riffs.

Nel bis, "Armed and Ready", "Rock Bottom" e l’immancabile "Doctor Doctor". Da segnalare anche "Arachnophobiac", tratta dal suo ultimo lavoro in studio…
Lights out Milano!
Luca Giberti



Pix by Cristina Massei

 

PRETTY BOY FLOYD
+ RENEGADE PLAYBOYS + PLASTIX

London, Camden Underworld – 15 Febbraio 2004

Come previsto, questa Domenica all’Underworld c’e’ il pubblico delle ex grandi occasioni. Un peccato, perche’ sebbene questi Pretty Boy Floyd li abbiamo ormai visti tutti ripetute volte come (volenti o nolenti) anche i Renegade Playboys, ho sentito parlare strabene dello show dei punkrockers Plastix, che si apprestano ad aprire questa serata. E i tre inglesi, prossimi all’uscita del loro secondo full-length, non deludono le aspettative. Seppure nel tempo limitato oggi concesso loro, i Plastix spazzano via l’ombra stanca dei bagordi del sabato sera, e scuotono il pubblico con una grezza miscela di punk e rnr, in un crescendo che culmina in “You don’t know me”, secondo me il singolo d’eccellenza del loro repertorio. Ripromettendomi di non perdere il prossimo gig da headliners di queste giovani promesse, vado backstage per scoprire un po’ di piu’: i Plastix mi concedono un’interessante ma soprattutto stradivertente intervista che potrete presto leggere sulle pagine di Slam!
Intanto i Renegade Playboys hanno iniziato il loro set. Questi giovincelli continuano ormai da anni a cambiare formazione; perso anni fa il primo cantante-songwriter-ragazzinoprodigio, in arte Switchblade Sadie se ricordo bene, i RP hanno perso anche la fresca piacevole impronta rnr che li aveva caratterizzati alla nascita. Oggi ci troviamo davanti una confusionaria boy band che accozza a caso RHCP, RATM e riffs ottantiani, con un cantante teenager iperagitato che salta, grida e ci propone uno strip rabbioso che lo lascia in underwear e calzino corto (!). Sorpresa, l’ennesimo stravolgimento di line-up propone oggi alla seconda chitarra Sebastian, autodichiarato cantante prodigio di belle speranze; che ci fa alla chitarra allora? Mi dicono che lo hanno provato prima alla batteria... Certo le reazioni delle teenager sovrappeso in prima fila al suo bel faccino sono incoraggianti... Tutto si spiega, evviva le boy-bands, dove le audizioni si possono fare per fotografia.

L’ingresso dei Pretty Boy Floyd e’ un sollievo. La formazione e’ la stessa dello scorso anno, ma il risultato e’ di gran lunga migliore di quello visto a Milano lo scorso anno, come commentano anche un paio di persone che hanno visto entrambi gli shows. Notiamo subito un cambio di look per Steve Summers, che presenta una lunga chioma violacea. La set-list non presenta grandi sorprese, salvo "7-27" dal nuovo album “Size does matters” che rende benino dal vivo, con quella sferzata di energia glam che su disco non erano riusciti a imprimere. Tutto sommato, malgrado non ci sia nulla di nuovo sotto il sole, i Pretty Boy Floyd si confermano una delle rare 80’s reunion bands che ti danno esattamente quello che ti aspetti, niente di piu’ niente di meno. Le solite highlights con “Good girl gone bad”, “Rock’n’Roll outlaws” e i consueti bis “48 hours” e “Rock’n’roll (is gonna set the night on fire)” ci regalano spensierati party moments in puro stampo glam. E a proposito, ancora una volta le mie velenose domande hanno colpito nel segno, e vengono utilizzate live on stage come presentazione per “Rock’n’Roll outlaws”... Per capire di cosa parlo vi rimando a breve nella sezione interviste, dopodiche’ pronunciate pure il vostro verdetto su Steve, Lesli, Chad e Dish, io il mio l’ho abbondantemente enunciato nello special italiano 2003. E lo ribadisco:
E’ rock’n’roll, con tutti i suoi annessi e connessi, i suoi eccessi, le sue imperfezioni, fa parte del gioco. Prendere o lasciare. Per quanto mi riguarda, ancora una volta mi sono divertita, e cosi il pubblico seppure non vastissimo di questa fredda domenica invernale. Gente che, per la terza volta in tre anni, ha ritenuto che per qualche motivo valesse la pena di buttare 12 sterline e qualche altro spicciolo in merchandise.
Cristina Massei

 

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